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protone

protoprogetto in lettere

 Il Viaggio per me comincia stanotte.

Che cos'è "il Viaggio"? Perchè va affrontato?
Quando non hai mai vissuto come Jack Kerouac e hai piazzato radici, fondamenta e pure una rete di fognature nel posto dove sei nato, quando ti riconosci un cuore tenero da barbapapà che singhiozza e sussulta per ogni legame da allentare, quando la tua determinazione non è legge nemmeno tra i peluche della tua stanza...beh, il dubbio ti rosica eccome.
Mi rosica il dubbio?
Certo che sì.
Ma chi mi legge non abbocchi: il cuore d'oro non ce l'ho mai avuto.
Sono solo le ipocrite giustificazioni della strizza.
Eh si!, perchè tutti vogliono fare qualcosa, ma la strizza, di norma, brucia tutti sul tempo.
E allora che si fotta, la strizza, che si fotta l'eterno Ciclo divino di Volonta' e Strizza, Yin e Yang, duopoli magnetici che sincretizzano l'universo dei mortali.
Per stanotte io mi tengo sia la Volontà che la Strizza, e il Ciclo, dannazione!, lo uso per andarci in Grecia.
Tanto è un xt600 e  va a super.

Che cosa trovi alla meta? Genti diverse con idiomi diversi, con climi diversi (beh,caldi!) e con la stessa faccia e la stessa razza di qua.
Come un Italia un poco più a sud est, ma dannatamente incomprensibile.
E allora ripeto: checcivadoaffà?
......Se comincio a dirvelo ora , finisco anche le pagine del Web.
Ma, vi assicuro, per ogni spunto, per ogni singolo perchè, vacillerò nei miei propositi e ne troverò la contraddizione ancora più assennata e convincente.
E allora non chiedetemelo che facciamo prima.
Solo viaggiate con me e cercatene il piacere, il brivido e la vita che ci sta dentro, condividiate i miei crucci e i miei errori, e, se potete, pagatemi anche la benzina.

"E poi, in fondo in fondo, ti rendi conto di che lasci?"
Si, lascio tanto e magnificenza, ma se vado non è certo perchè ne cerco di più.
Beh, certo , chi l'ha pensato non ha sbagliato: cerco donne straniere e semidee dai seni gonfi e dalle natiche marmoree, avvezze all'amore e votate all'accoglienza di stranieri, cerco lussurie ed innamoramenti, una giovane ninfa abile di arti amatorie sconosciute ai latini che mi insegni il gusto della sua perversione.
Ma questi vizi non me li sono mai adeguatamente trovati, quindi anche le proiezioni oniriche si autocensurano e mi rimandano sulla terra prima che il tonfo sia troppo doloroso.
No, in fin dei conti non cerco niente, ma ci vado lo stesso.

Non abboccate: non ci vado per il lavoro.Questi si chiamano pretesti, o se volete, modi per campà.
Ci vado e non so il perchè.

Ci vado e non conosco nè la lingua ne alcuno.

Io Ci vado.

E se volete, ci vediamo lì.

 

#

 La Strada per Heraklion

Cercherò di condensare 6 giorni di viaggio, da Milano ad Heraklion, in poche righe, perchè so che gli avvenimenti, le persone, i colori, gli odori, i sorrisi e tutte le sensazioni che grazie a Dio mi hanno attraversato in questi strani giorni di vagabondaggio non possono essere compresi da chi mi legge, ma da me solo.
Ma anche se in voi di tutto questo non ne resterà che una sfumatura, forse sarà sufficiente a capire che ne è valsa la pena.

Lunedi' 10 gennaio 2005: MILANO-ADRIATICO

Ore 7:55
Non mi soffermerò di certo sulle angoscie di una madre in apprensione per un figlio in partenza verso un lontano angolo di mondo.
Lasciate solo che vi confidi che la mia, al momento della partenza, mi ha quasi convinto di essere il soldato Piero diretto al carso durante la I guerra mondiale.
Ho caricato lo zaino, la baionetta e la mia razione K sul sidecar, e sono partito con la foto della mia bella ninetta stretta sul petto, vicino al cuore.
Un lacrima per la mamma, lo sguardo fiero per la patria e un dubbio che mi ronza per la testa.

Il primo biglietto dell'autostrada Milano-Venezia all'alba di un viaggio lungo quasi tremila chilometri ha un significato particolare.
E' la presa di coscienza del superamento delle perplessità e il vero inizio del Viaggio.
Anche se avessi dimenticato il carburatore della moto non sarei più potuto tornare indietro.
E' una di quelle cose che vanno fatte 1 volta sola, non è concesso il lusso di riprovarci se ci viene male.
Insomma, non è la perdita della verginità.
Il primo biglietto da motociclista ha anche delle difficoltà inaspettate.
Allo sbarramento di Cascina Gobba a Milano verso le 8 del mattino ci sono -2 gradi e l'umidità brina sulla visiera del casco e sul serbatoio, a contatto con i testicoli, in 7.5 millisecondi.
Sei quindi infagottato come il Gabibbo e qualsiasi movimento che non sia contemplato dalla normale guida di un motoveicolo ti è proibito dalla tua nuova Giacca Dainese che hai pagato tanto quanto la moto.
Se riesci quindi  a raggiungere il bigliettino, che è ormai da tempo ha raggiunto la qualifica di "fottutissimo" nella tua testa, si pone un problema che mai avrei potuto immaginare da ingenuo automobilista.
"uh!...Dove cazzo lo metto ?"

Freddo. Il tempo passa e si macinano i chilometri.
Gli Dei hanno voluto essere clementi e mi hanno regalato una giornata di sole che timido si alza verso est.
Ma se da Milano stai andando a Venezia, ce l'hai dritto negli occhi.
Ma queste sono sciocchezze, perchè la strada è bellissima, vuota e sto viaggiando come un pazzo in barba alle mille raccomandazioni di chi in fondo sente la paura al posto mio.
Ma fa freddo."Che Dalmine!"....Prima sosta con la pianura padana alla mia destra e le prealpi spruzzate di neve a manca.
Faccio colazione con un pullman di giapponesi.

Con la sensazione di una naturalezza ormai conquistata con il mio mezzo e il sentimento di esserne diventato indivisibile, raggiungo Venezia.
Ed è il Trionfo!
Sbaglio strada subito dopo, ma la ritrovo con la stessa naturalezza di prima.

Il Porto.
Sto davanti al Magazzino 123, Minoan Lines con il biglietto già fatto.
Chiedo a due operai del porto dove si trova la nave che sto cercando e loro mi scrutano male, si legge in loro il dispetto di chi si sente preso in giro.
Raccolgo la sfida con lo sguardo e lo proietto dietro di loro, dove a pochi metri, si staglia il profilo del traghetto più grande del Mediterraneo, con la scritta giganteggiante "MINOAN LINES".
Non lascio cedere il mio sguardo e senza dire niente imbarco la moto nella pancia della balena.

Una volta salito sul traghetto, inaspettatamente mi trovo, senza ancora saperlo, in territorio ellenico.
L'equipaggio, i passeggeri, il menu del bar non parlano che il greco e si destreggiano con l'inglese.
E fin qui tutto bene.
Ma in filodiffusione non passano che il Sirtaki e la cosa ancora non mi è andata giù.

MARTEDI' 11 gennaio : VENEZIA-PATRASSO

36 ore. Un giornoemmezzo con prenotazione "passaggio ponte".
La nozione che voi tutti conoscete della espressione "che palle!" assume un significato estremamente profondo nella mia psiche, si permea di sfaccettature finora inaspettate.
Intanto la clientela greca che mi accompagna lungo tutto il viaggio si organizza in fastosi banchetti e allestisce accampamenti equipaggiati in tutte le aree libere della nave.
La ricerca per un posto in cui passare la notte da i suoi frutti, e mi sistemo di fianco ad un gruppetto ormai ubriaco di ragazzi albanesi che mi scrutano a fondo.
Il retaggio di una vita borghese mi ha tristemente lasciato uno stupido timore persistente: "Già so che appena mi alzo dalla poltroncina questi mi fottono tutto...."
Loro non demordono e non si allontanano dal mio bagaglio (accanto al loro) e io resisto imperterrito finchè la vescica non mi ordina la ritirata.
Noto nelle faccie dei poveri ragazzi di Valona un senso di rilassamento: Non si fidavano ad avermi vicino alle loro borse.
Diciamo che ho imparato la lezione.

Alle 19,00 l'altoparlante annuncia l'imminente sbarco al porto di Patrasso. Dal ponte della nave scruto le mille luci di questa città, piccola ma poi non tanto piccola.
E le impressioni si sovrappongono alle paure, si fondono alle aspettative, e si mescolano impazienza e speranza. Se mischiare alcolici fa uno strano effetto, mischiare le emozioni decisamente rincoglionisce.
Inghiotto e vado a prendere la moto, perchè stanotte non so ancora dove dormire.

PATRASSO BY NIGHT è un turbine di locali alla moda e studenti che girovagano nel centro cittadino.
La città fa evidentemente schifo ma loro hanno imparato a non pensarci.
Il mio primo Ghiros Pita lascia una impronta indelebile, non tanto nella mia anima quanto sui pantaloni ancora puliti. Io nel frattempo sorrido.

MERCOLEDI' 12 gennaio :  PATRASSO-ATENE

Altri 250 chilometri da percorrere.
La moto scorre e ruggisce su una strada quasi deserta a 2 corsie, una ad andare e una a venire, sotto un sole luminoso che invade di luce le montagne alla mia destra e che accende il mare a sinistra di un blu intenso.
Sono in grecia e sto correndo verso Atene.
Ma da queste parti mi rendo conto di essere l'unico a portare il casco e se le corsie sono solo 2, da queste parti diventano quattro perche la corsia di emergenza è in realtà la più utilizzata.
E allora mi adeguo.

All'autogrill mi vengono offerte degli affaroni: macchine digitali e cineprese a prezzi stracciati da parte di alcuni filantropi greci in cerca di cretini da spennare.
EFKARISTO', sarà per la prossima volta.
Ad Atene intanto mi aspetta una mia carissima amica, quella che fu una volta la mia fidanzata a Copenaghen, una squilibrata piena di vita a cui promisi mari e monti e che non vedo più da un anno.
Mi vorrà vedere , certo, ma sarà forse per uccidermi.

L'ingresso ad Atene comincia 10 km prima della città.
Il traffico è asfissiante, gli scooter e le moto si infilano in pertugi inaccessibili in mezzo alle colonne di macchine e camion.
La città appare protetta da uno scudo di monossido di carbonio che ha raggiunto la consistenza della nebbia di Segrate nei giorni peggiori. Ma il sole si vede e si sente.
17 gradi.
Mi domando perchè diavolo stia utilizzando ancora un paio di guanti da sci per guidare, ma seguendo le chiare indicazioni per Syntagma, dove ho l'appuntamento con Aimilia, mi ritrovo in men che non si dica ai piedi dell'Acropoli.
Va bene lo stesso.
E' il tramonto, e il partenone, in cima alla collina, si colora di rosso.
Urge una foto con la moto e i bagagli.
Ma il rullino in questi casi, si sa, è già finito.
Corro verso Syntagma all'appuntamento cui sono già in ritardo.
Eccola in attesa.
Mi avvicino con la moto e la scruto senza essere visto.
Finalmente mi nota incuriosita, ma non può sapere che sono io sotto il casco. Lentamente lo tolgo e la guardo serio.

1 secondo.

Poi scoppia in una risata e mi abbraccia.
E' andata....


GIOVEDI' 13 gennaio: ATENE

Il racconto di questi giorni passati ad Atene non sarà ovviamente completo.
Esistono avvenimenti che devono rimanere e rimarranno nella sfera del privato.
Per quello che mi è concesso, però, continuerò la cronaca del viaggio il più apertamente possibile.

Chi ha letto Calvino indubbiamente percepisce la necessità di captare la personalità umana delle città.
Atene si sarà pure rifatta il maquillage dalle Olimpiadi, ma rimane sempre una vecchia sgraziata e sboccata.
Qui le cose non vanno per il sottile e si dicono in faccia senza ritegno. Ed è qui che sta il bello: spontaneamente ti accoglie senza bisogno di buone maniere, una pacca sulla spalla e poi ti mostra il suo tesoro.
L'acropoli eretta in cima alla collina a ricordare che il divino, la bellezza eterna da 3000 anni, si scruta ossequiosamente dal basso verso l'alto, in religiosa contemplazione.
E poi sono andato con Aimilia a sbronzarmi in un bar.


VENERDI' 16 gennaio : ATENE-EGEO

La giornata scorre felicemente in un clima mite tra le vie della Plaka, il centro di Atene, e i sobborghi popolari, brulicanti di vita e di inconsapevoli maschere teatrali. Due vecchi amici li percorrono con inaspettata armonia, e con umorismo.
Atene è un girovagare onnipresente di cani abbandonati, randagi che vivono nell'immondizia e nei parchi.
Nel programma della giornata c'è una visita al Partenone.
Tagliamo per un parco sulla collina sulla strada per l'acropoli. Quasi in cima alla collina scorgiamo due greci, poco sopra di noi, vicino alla loro macchina. Ridono, scherzano, sbeffegiano qualcuno al di sotto della collina, dove non mi è dato di vedere.
Poi si spaventano e corrono verso la macchina gridando in greco.
Aimilia li sente e li vede , io non capisco nulla di che sta succedendo, lei si gira e corre giu' dalla strada che abbiamo appena percorso.
"Aimilia what happens?" le grido attonito mentre lei scappa.
Una risposta e veloce e mi metto a correre anch'io: "DOBERMANN!!!!"
 
Ci addentriamo nel mercato della carne, regno anarchico dei cafoni di Atene, degli straccioni e degli umili.
Nel mezzo di un orgia di caprini sgozzati, fegati e mannaie mi viene incontro un macellaio sulla quarantina, decisamente primitvo e neanderthaliano, sorridente quasi ad ostentare una dentatura scomposta e mal calcificata, un incubo odontoiatrico. Lo vedo che punta su di me: "che faccio?" La cosa più intelligente che ho escogitato è stato assumere uno sguardo perplesso.
Mi si para davanti e mi pone una domanda in un'idioma a me sconosciuto ma che temo di avere intuito.
La mia guida interviene e parla con lui in greco.
.....
.....
-"Chi era? Che voleva da me?"
-"Ha visto che non eri greco e ti ha chiesto nella sua lingua da dove venivi. Credeva che fossi un conterraneo...Lui è albanese..."
....
....
Che dire? La cosa non mi turberebbe più di tanto, se non fosse che almeno in Grecia ero certo che nessuno mi avrebbe notato per questo ... evidentemente non è dato di cambiare la propria natura.

Ripariamo in una taverna nei pressi del mercato.
E' decisamente un posto degno di una sommaria descrizione.
Interrato sotto un vecchio edificio abbandonato, scendendo le scale in una vecchia piazza della città potrebbe capitarvi di entrare in questa vecchissima osteria,una "TABEPNA", un microscopico antro indifferente al succedersi degli anni e delle stagioni.
Sono solo pareti bianche in questa bettola e 5 enormi botti colme di vino bianco appoggiate sul fondo del locale.
Il padrone è un vecchio con grandi baffi imbalsamato dentro ad una ridicola giacca bianca da cameriere lercia e striminzita, e la clientela arriva indubbiamente dal mercato degli straccioni di prima.
Appena seduti arriva senza che fosse richiesto un mezzo litro di vino bianco in una caraffa di rame ed, a voce, ci illustrano un menu fatto di zuppe di ceci, pesci quasi vivi da piazzare su una piastra bollente, e mezzo chilo di carne bollita nel sugo con della pasta che sembra riso.
"Sono i piatti che cucinano le nonne" mi viene detto, e già immagino chi potrà nascondersi tra i fumi della cucina.
Il cibo arriva ed è casalingo, ottimo, abbondante.
Ma in questo momento accade qualcosa che forse non ha senso descrivere, una nuova sensazione che il vino indubbiamente ha esaltato, e che forse la seconda caraffa ha sancito.
Entrano due greci, il primo con una fisarmonica, l'"AKORDEON" si chiama, e il secondo con il "CLARINO".
Sono benvenuti nella osteria e suonano e cantano canzoni popolari in greco tra i sorrisi alcolici della folla.
In fondo al locale una coppia di vecchi amici ubriaconi incita i suonatori con urla e schiamazzi e dall'altro capo della sale si odono le risposte di altri tracannatori di antica generazione.
Il pubblico partecipa, canta, batte le mani sorride.
Grida il vecchio in fondo alla sala, io sono ubriaco mentre Aimilia ride da tempo ormai sotto l'effetto dell'alcol, lei piccola 21 enne che ha bevuto solo 2 bicchieri, quasi non ce ne accorgiamo che "il vecchio in fondo alla sala" alza in aria il piatto vuoto e lo scaraventa con forza per terra. Il dado è tratto e nella sala è tutto un rovinare a terra di stoviglie e bicchieri.
I vecchi si alzano e cominciano a ballare, invitano le signore e le battone ad unirsi a loro, schioccano le dita e si prendono per mano in una danza carnevalesca e fuori tempo.
Aimilia sente il bisogno di parlarmi e io ascolto ammutolito.
Non vi è dato di sapere ciò che ci siamo detti, ne ve ne potrà importare, ma lasciate che rimanga questa memoria nelle cronache di un viaggio che voglio ricordare.

La sera stessa parto dal Pireo alla volta di Heraklion.
Prima però ho appuntamento con Aimilia a Syntagma, la perdo e la ritrovo magicamente al porto.
Abbraccio la mia amica e ancora ubriaco imbarco la nave sulla motocicletta.                   
 


SAbATO 16 gennaio: HERAKLION

Ore 6,00.
Il battello approda al porto e io deambulo strasognante nella città che mi ospiterà nei prossimi sei mesi.
Alle 8 incontro Maria, una mia collega che mi porterà dritto al mio appartamento.
La ringrazio e la saluto. Poi chiudo la porta dietro di me e rimango chiuso fuori.
Citofono a degli sconosciuti per rientrare che mi aprono, vado sul divano e comicio a dormire perchè il viaggio è finito.
   

#

 Le cene di Lavoro

E' difficile pensare di aver raggiunto l'apice della propria carriera quando ancora non l'hai cominciata.
Sicuramente per me sarà così, e cercherò dunque di apprezzarne i lati positivi ma soprattutto di approfittare schifosamente di questa porca situazione.
L'accoglienza, il rispetto, la generosità e una inaspettata riconoscenza mi vengono ostentate sul luogo di lavoro, e, tristemente, già ne intravedo la parabola discendente.
Una volta sceso in terra di Creta, ho potuto godere, oltre alla nota calorosa accoglienza della gente di questo paese, di attenzioni di norma riservate ad esimi Professori con cervelli decisamente più pesanti e soprattutto più laboriosi del mio.
Niente di più imbarazzante poteva capitarmi che essere assimilato in categorie di questo calibro nel momento in cui raggiungevo la mia meta con SOLI scopi turistici (o pseudo tali).
In quest'ottica dovete immaginarvi il mio ingresso presso Il "Foundation for Research and Technology of Crete", un illustrissimo istituto di ricerca nel cui grembo cresce un secondo e ancor più prestigioso istituto di ricerca non accademico, l'"Institute for Electronic Structure and Laser" di Heraklion.
Solo a pronunciarne il nome, ancora mi cago addosso.
Atteso come un capo di stato, il primo giorno di lavoro verrà a prelevarmi direttamente a casa una macchina per condurmi nella sede dell'istituto.
E questo dopo aver inconsapevolmente declinato una cena in mio onore organizzata il giorno del mio arrivo a Heraklion, con evidente imbarazzo da parte di uno staff internazionale di ricercatori  e cervelli testicolati.
Ma parlavamo del primo giorno.
La macchina percorre le strade nei dintorni di Herklion fra galline, uliveti e traffico.
Poi, in aperta campagna devia dalla strada principale e si inoltra in una minore; svolta e risvolta fino a quando un imponente edificio bianco e moderno si scorge dalle colline coltivate a vigneti e olive.
Scendo dalla macchina.
Respiro. Si vede il mare, ma per il resto sono convinto di essere a Castellina in Chianti.

Giro di presentazioni ai vari studenti internazionali.
....mmmhm, posso sopportarlo....
Giro di presentazioni ai vari ricercatori e professori pluridecorati dell'edificio.
....stringo le chiappe fino all'ultimo.....
E infine, Costas Fotakis: quel ciccione del gran capo dell'istituto.
....Decisamente ora è troppo. Hanno voluto esagerare,e ora li ripago....
Primo. mi faccio immediatamente offrire il pranzo.
Secondo. Mi faccio offrire il caffè e pure la sigaretta subito dopo.
Terzo. Non faccio una sega e abuso della loro gentilezza.
Quarto. Prima che ci ripensino mi faccio depositare in banca immediatamente l'assegno per il mese  di gennaio.
Ma quando c'è da pagare l'affitto anticipato dico che c'è sempre tempo per queste cose.
Loro ringraziano e sorridono.

Ora, sicuramente qualcuno dei miei lettori ha già avuto modo di entrare in un ambiente nuovo dove  si fa della ricerca.
Forse a qualcun altro capiterà in futuro, ma probabilmente la maggioranza non sa di che sto parlando.
Lasciate che la mia esperienza possa essere tesoro delle generazioni future.
In ogni caso, per la vita, dimostrate estrema vaghezza nelle vostre conoscenze.
Vi chiederanno se avete dimestichezza con questo o con quello... Non siate precipitosi e non affannatevi ad elargire risposte esaurienti.
Spesso, occupare il tempo con delle supercazzole off-topic, fuori argomento, che dimostrino che voi ne sapete di brutto, ma di tutt'altre cose!, è il metodo che più vi permetterà di guadagnar tempo e di mantenere una rispettabilità immeritata il più a lungo possibile.
Vale a dire, fino a quando sarete chiamati al lavoro.
(..se lo fate male, lo capirete dagli sguardi perplessi dei vostri interlocutori...)
Ma la prima settimana, soprattutto dopo che l'assegno è già stato incassato, e per gran parte dilapidato, godiate della fama, del vento favorevole che spira ingiustificatamente dalla vostra parte e lasciate che gonfi da poppa la vostra vela e sfruttate fino all'ultimo le correnti.

Tuesday evening. Prima Cena con i colleghi ricercatori.
Con evidente ritardo, raggiungo uno dei più eleganti ristoranti di Heraklion.
La cena è in effetti organizzata in onore del nuovo venuto.
Con stupido imbarazzo, realizzo di essere io.
Sono al tavolo con una dottoranda in Dinamiche molecolari e Clusters formation, un ingegnere chimico esperto in pigmenti di sticazzi pluricromatici, un professore fisico-chimico massima autorità in Laser Surface Ablation dei mejcojoni e il mio superVisor, dottor professor cummendador commander in chief for SuperAtoms and Clusters.
E poi ci sono io.
L'ultima pirla venuto.
Ma l'ultimo pirla realizza anche che la cena gli sarà offerta, e allora, pirla per pirla, prepara lo stomaco a dilatarsi per le scorte invernali.
Del resto, Gennaio è inverno anche per Creta.

La cena inizia, ed è, per chi sa di essere fuori luogo, come un incontro di pugilato.
Passano i primi minuti a studiarsi vicendevolmente, e si utilizzano frasi di circostanza o si parla del più e del meno.
"Come è andato il viaggio?"
"Il cibo è ottimo..."
"Potrebbe passarmi il pane per cortesia...?"
....
Ma prima o poi sai che ti arriva un diretto.
L'esperto dei mejcojoni: -"Come si trova con l'eperimento?"
.....
Per un momennto penso di essere subito K.O.
Poi raccolgo le forze, resisto al diretto e rispondo con una sequenza di supercazzole di argomento fisico. E sono tutte dirette al fegato.
In pochi secondi concentro le mie conoscenze relative all'argomento mentre sorseggio dell'ottimo vino rosso per guadagnare secondi preziosi. Necessari soprattutto per filtrare le cazzate.
La mia reazione è ottima.
Parto rispondendo alla domanda e con la naturalezza dettata dalla disperazione riesco a portarlo sulla mia strada.
Tengo banco per qualche minuto su argomenti che sanno più di filosofia spiccia che di scienza e resisto agli attacchi fino all'arrivo della seconda portata.
Ottimo lavoro.
I colleghi si dimostrano compiaciuti, oppure fingono bene.
Ma la lucidità svanisce mano a mano che i bicchieri di vino si moltiplicano, e mi rendo conto che nell'ultima fase, sto perdendo ai punti: vale a dire che il vino mi ha fatto partire il filtro e sto dicendo un paio di cazzate.
Mi sono chiuso all'angolo da solo, mi divincolo facendo leva sulle ultime energie e lo tengo a distanza finchè posso per non finire al tappeto.
Urge una strategia.
Inizio una parabola di pensieri collegati da un filo rosso che si chiama flusso di coscienza. Il vino è dalla mia parte, perchè, se io non mi sono risparmiato a mangiare e a bere, loro mi sono stati dietro e le espressioni svanite che i cervelloni assumono tradiscono un calo della loro concentrazione.
Io parlo e loro mi seguono,FUNZIONA!, finchè ci troviamo incomprensibilmente a parlare di MOTOCICLETTE, argomento di cui, pur non sapendone una sega, per questo tavolo io sono il professor dei professori.
Il vino scorre, la cucina è ottima e io sciolgo la lingua come un tapirulan.
Ingurgito, divoro e assaggio qualsiasi cosa abbia un vaga apparenza commestibile, compresa la cameriera che sempre più spaventata per la propria incolumità, mi sta bene alla larga.
Non si parla più di Fisica ma soltanto del mio immenso appettito.
Ho vinto io.

Alla fine riuscirò ad ammettere che, nonostante fossero intelligenti, mi stavano persino simpatici.
Ma forse è perchè mi hanno pagato la cena più costosa della mia vita.

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Tengo alla mia infanzia

(dedicato all' uomo dal grande naso)


Qui la terra ha i confini del mare.
Forse il mare ha deciso di risparmiare questo lembo sassoso per gli uomini, e tutto intorno si è disposto a sua difesa.
Ha fatto sì che i monti rinverdissero ad ogni stagione, che i ruscelli ne solcassero le gole, che
le capre pascolassero nelle colline ai lati dei monasteri, e che gli uomini ne godessero della bellezza.
Il sole ne ha benedetto l'opera e i venti hanno continuato a spazzarne le cime delle montagne, a riversarvi nuvole di passaggio gonfie di neve da posare sulle cime, dove i falchi e le aquile si contendono l'aria del cielo.

Vengo ora da un itinerario mozzafiato, imprevisto, o meglio improvvisato.
Le strade mi hanno guidato per chilometri perdendomi dietro la mia meraviglia tra i boschi di olivi e vigneti, tra greggi di montoni e capre e cani pastori.
Non ho sufficienti parole che vi spieghino la mia commozione mentre correvo lungo il costone di una montagna a sfidare il baratro sull'altro mio fianco.
Sulla strada c'ero solo io, emozionato come il bambino che sono.  

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 La Mareggiata

(ovvero "Le Soddisfazioni di Nettuno")

Non sarà il caso di prendere in giro nessuno.
Il lavoro, in Grecia come in Italia, è un carcere.
Si dice del lavoro che è "il cane che lecca il bastone che gli piegherà la schiena...."
Il lavoro diventerà "soddisfazione professionale" quando le mie meningi avranno perso la memoria di quegli anni in cui la vita è fatta di abbuffate, eccessi, risate, vomito e tette.
E allora ricordiamo di essere creature viventi due giorni su sette, realizziamo che il nostro tempo sulla terra è limitato e che la libertà è tristemente sinonimo di una odiosa parola anglosassone.
Week end.

Ma sabato, sul parallelo che sfiora il nord di Beirut, al centro del Mediterraneo, nella terra afflitta dalla siccità, che odora di timo e menta,...piove.
Il vento spira dal nord freddo e umido, gonfio di grandine e carico di nuvole nere, elettriche buie e tonanti.

Agamissou.Vaffanculo.
Non starò in casa di sabato...me ne vado sul porto.
E la libertà fiorisce nella estrema volontà che vince la pioggia e la grandine. Smette di piovere, rimangono solo le nuvole minacciose a ricordare la collera di Zeus, pronta a colpire con violenza.
Il porto e il mediterraneo.
Eccolo: oggi Poseidone è furente. Gonfia il mare e riversa muraglie di acqua salata contro la costa.
Mostri marini alti tre o quattro metri che hanno viaggiato placidi per centinaia di chilometri raccolgono la loro energia a pochi metri dalla riva e in un efferato gesto estremo si suicidano sulla banchina del porto e sulle roccie.
Porca vacca!....la Mareggiata.
Sul molo siamo in pochi, io e qualche greco di passaggio venuto ad ammirare dalla sicurezza delle mure veneziane il mare che si sta gonfiando.
Avanziamo su questa lingua di terra intrufolata nella bufera marina fino alla Kule, la Rocca al Mare, una antica fortezza veneziana adagiata sul fondo del porto vecchio, e da lì osserviamo un poco le onde.
Semidee dalle rotondità seducenti e pericolose. Che donne!
Eccola.
Eccola da lontano, più alta delle altre. Eccola maliziosa correre verso la riva. Eccola che raccoglie massa....-eccola che...BAAAM!
La schiuma si proietta in aria a stagliarsi sul cielo nero e il vento solleva gli spruzzi fino a noi.
Lavati.
Porca vacca.
Sul fianco della Kule c'è un punto altamente esposto al mare.
Quando le onde sono più cariche arrivano direttamente sulla strada o addirittura sulle pareti della fortezza.
Insomma bisogna correre tra la risacca della prima onda e il martirio della seconda. E arrivare salvi dall'altra parte, all'asciutto.
Che faccio?
Torno indietro?
Dove?
A casa a fare invecchiare la mia pancia sul divano?

Rispondete voi...

Insomma, prima bisogna studiarle ste onde -se ne vogliamo uscire vivi- e non credo proprio che l'analisi di Fourier possa servire a qualcosa.
Le più alte arrivano in sequenza: dopo una grossa, c'è n'è sempre una che sembra sua mamma: sfrutta il minimo della precedente e inaspettatamente, alle spalle della figlia, a pochi metri dalla riva si alza a sorpresa rubando acqua dalla risacca.
Infida, perchè si nasconde dalla tua attenzione, troppo concentrata sulla prima.
E ti lava.
Ok, le onde le ho studiate.
Eccola quella grossa ...BABAAAM!,schizzi dappertutto... ora arriva la seconda, si alza in piedi come un Cobra Indiano, spalanca il collo e si tuffa sulle roccie:BABAAAAAM!... c'è acqua dovunque, direttamente sulle mura della rocca.
Via!, ora!, il momento!, corri corri corri corri corri.....butto un occhio alla mia sinistra ..... minchia se è grossa!.... BABABAAAAM! ..... mancano due metri....guarda avanti ......corri corri corri..... passo sotto gli schizzi... manca un passo e questa mi lava....
.....
.....
uff...per un pelo...

Asciutto:
ovvero "Soddisfazione professionale".

Sono dall'altra parte, sul molo moderno.
A sinistra il mare incazzato come pochi, separato da un muro di tremetriemmezzo e scogli artificiali dal porto dove l'acqua placida non ha memoria di questa tempesta. 
Ma  dove il molo ,lunghissimo, fa una piega,a mostrare il fianco alle onde, lascia una piazzetta, un avamposto sul mare da dove si riesce a scavalcare il muro di protezione e ammirare lo spettacolo.
Aria.
Vento salato dalla schiuma marina.
I capelli litigano nell'aria e mi schiaffeggiano.
E a 270 gradi davanti a me, sotto il piombo delle nuvole, l'inferno di anime d'acqua sporca, verde e marrone di terra sollevata dai fondali, di alghe, di bianco di schiuma e di nero pece del mare profondo.
Il confine tra aria e acqua è drammatico. Il vento attrociglia le creste e i frangenti a cui strappa brandelli di schiuma.
Il delirio di onnipotenza del mare ha ragione di essere e mi contagia.
Gesù ci avrebbe pensato due volte a camminare sull'acqua se avesse visto questo.
Mostrami, Poseidone, di che sei capace!
E senza aver finito di pensarlo, esplode il mare a sulle roccie e spalanco gli occhi a realizzare l'ultima inevitabile doccia.
Urlo come uno scimpanzè.

Lavato.

#

 Una pausa tra due di due elementi.


Un mese.
Anzi di più.
35 giorni che ho sollevato il culetto dalle poltrone comode della casa materna e dalle oasi franche del sottotetto privato, la mia cara Mansarda.
Quasi un anno che ho smesso i panni dello scolaro, si, 11 mesi da che ho sciolto definitivamente il fioccone blu dalla mia blusa nero balilla e che ho assaggiato il sapore della disoccupazione più colpevole, della nullafacenza ideologica, del precariato lavorativo in una ditta di spedizioni internazionali.
Mesi in cui ho accusato il mondo di non riservarmi un posto in buissness class solo per la mia bella faccia e per le tante scuse che avevo pronte nella 24 ore.
E poi la Grecia, il viaggio, e ancora scuse, ancora malumori, ancora pretesti per foderarmi il deretano di una bella mutandina in fibra di carbonio per gli scherzi del destino sodomita.
Ma anche i soldi.
I money.
(din din din...)

Nullafacente salariato offresi in quel di Creta per avventure bambinesche che gli permettano di ritardare l'età matura.
Sono io.

...e allora, con lo stipendio, via! Al galoppo! Cene su cene su ristoranti quasi tutte le sere, vai al supermercato a comprarti le vivande....ma, che diamine!, il vino....quello buono si intende, invecchiato almeno quattro anni in botti di rovere, una riserva, magari, un barricato, sì...per stasera un barricato di 5 anni, è proprio un'ottima idea...
E non guardo nemmeno il prezzo.
Ho una media di cinque cene a settimana in giro per le taverne della città- ormai le conosco quasi tutte- e mica si va a mangiar fuori per fare i pidocchi! Si mangia fino a sfondarlo questo stomaco da checche, si ordinano 21 porzioni in 8, la frutta per sciaquar via tutto, un dolce per guarnirsi la bocca, e il raki per mandar giù l'ultimo boccone con lo spirito del Peloponneso.
56% Vol.
Fuma fuma che qui costano poco....
E poi la moto, SantaMadonna!, la vogliamo usare sì o no?
Chellhopportataquiperfare?
Ma va mantenuta come una ragazzina che ha bisogno d'affetto, un piccolo cucciolo che beve petrolio, scoreggia monossido e che vuole tanto amore.
Se mi prendevo una moglie, forse risparmiavo...Va mantenuta lostesso, ma almeno pulisce la casa...
-se vedeste il porcile dove abito...-
Ma chissenefrega che sono giovane carino e stipendiato!
Andiamo a farci una birra, no due, no tre, primo Whyskey, secondo Whyskey, sciottino numero 1, sciottino numero 2...burp!...rigetto tutto....
Ho speso una barca di soldi e tutto quello che ho comprato lo vado a vomitare nel cesso.
Questo è prorpio essere fessi.
Vabbeh, andiamo al mercato del sabato che è caratteristico e conveniente.
Ma cavolo, si può andare al mercato per comprare 4 kiwi di numero, tre pomodori e 13 olive ?
Mica vogliamo prenderli in giro sti commercianti che sono tempi duri anche per loro... un kilo di questo e un kilo di quello.... buoni i pompelmi... ne mangio uno ogni quindici anni, ma ora non ne posso proprio fare a meno.
Quattro kili.
Poi tanto vado al ristorante ogni sera, così quella volta che apro il frigo vengo invaso dall'aria mefitica di vegetali in putrefazione e latte cagliato.
Richiudere subito, e aprire fra due milioni di anni.
Come la piramide di Ramsete.

E poi un giorno scopri che mancano due settimane alla fine del mese.
Niente di male, capita tutti i mesi , mi pare.
Ma in banca hai solo 50 euro, non hai ancora pagato l'affitto di gennaio e il telefonino ti manda autonomamente un messaggio per dirti che vuole ancora soldi.
Maledetto.
Ma chi sono? suo padre?
Mmmhm che malessere, devo avere somatizzato, perchè la pancia mi duole un poco... la pancia? Questa specie di anguria che mi trovo sotto la maglietta è la mia pancia?
Altro che somatizzare, ho un fegato che pare fatto alla veneta e uno stomaco da tricheco.
Va bene se sopravvivo altre 24 ore.

Come sono felice oggi.
Eh sì!.... Oggi finalmente sono corrotto.


Menu di stasera alla locanda Liknostatis.

Crema di ceci e fagioli con olio e cipolle, da spalmare su focaccine preoliate.
Polpettine di maiale e spinaci impanate in una pastella di pane fritto.
Insalata di formaggi fusi.
Feta al forno, guarnita con salsa di pomodoro, olio e origano.
Omelette agli spinaci.
Insalata greca con feta e tzatziki.
Olive kalamata.
Assaggi di formaggi misti greci: Feta, dal latte di capra, Misitra, una parente della ricotta nostrana, e Gravier, formaggio da latteria da non confondere con il groviera svizzero.
Misto di carni rosse alla griglia. Prevalenza di agnello e porco.
Patatine fritte.
Patate al forno.
Patate lesse con olio di oliva.
Polpette di manzo in sugo di pomodori.
Insalata di Melanzane con maionese, uova e spezie.
Dolmas di cavolo e carne, arrotolati su foglie di vite.

Iniziamo con del bianco per stuzzicarci, quindi passiamo al rosso per i piatti più corposi.

Frutta a fette con una spruzzata di cannella.
Semolino con una spruzzata di cannella.
Grand Mix di frutta candita e glassata.
Yoghurt freschissimo con abbondante miele di guarnizione.
Baklava.
Innaffiamo i dolci con abbondanti quantità di Raki, sevito freddo in bicchierini monodose.

Sigaretta e conto.
Kalinikta.  

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 Ergotellis - Olimpiakos

1 settimana.
7 giorni.
5 a lavorare. Oppure 1 solo sotto un tram, a scelta.
L'effetto alla fine è quello.

Ma Domenica...Domenica...Santa Domenica.... c'è la Partita!

Pankritio stadium, nuovo di pacca, costruito probabilmente in meno di 4 giorni alla vigilia delle olimpiadi, un'autentico gioiello di equilibrismo minoico.
Le fondamenta -e non è uno scherzo- poggiano sulla spiaggia.
Sulla spiaggia ?!?
Non precisamente.
Sul bagnasciuga.

Ora, non conosco assolutamente nulla di costruzioni edili, tantomeno mi azzerderei ad addentrarmi nei meandri di una scienza impura e alchemica quale l'ingegneria.
Ho la fortuna di conoscere alcuni personaggi che in futuro occuperanno posizioni di prestigio nell'ambito della scienza delle costruzioni e che probabilmente scriveranno il loro nome negli annali del politecnico -per lo meno per meriti di anzianità-, e non affiderei a questi figuri il progetto per la costruzione di un portasaponetta da bagno.
Ma a prescindere dalla sfiducia che ogni creatura pensante riserva nei confronti di questi fumettari con la passione per le camicie a quadri, le pringles e windows XP, dobbiamo riconoscere, oltre alla dovuta commiserazione umana, anche alcune qualità d'eccellenza.
Num.1-Sono ordinati.
Num.2-Si fanno il mazzo.
Num.3-Sono tutti, senza eccezione di sorta, disperatamente convinti di essere l'eccezione libertaria della categoria.
E questo, alla fine, li rende simpatici.
O divertenti.
Ma torniamo al gioco più bello del mondo: l'ingegneria edile!
Dicevo appunto di riconoscere la mia totale incompetenza sull'argomento, eppure mi permetto di parlarne, prima di tutto, perchè metto a rischio la mia vita ogni volta che metto piede in uno stadio costruito incoscientemente su palafitte sul mare per vedere la mia squadra greca preferita -tra l'altro pagando, vedi tu..- e secondariamente, perchè da bambino, modestamente, con il Lego ero un fenomeno.
Certe astronavi costruivo...
E la mia esperienza estiva lungo i lidi tirrenici nei pressi di Marina di Cecina inoltre, mi dice che le costruzioni sulla spiaggia hanno vita breve. Se non è il mare a buttare giù tutto, sarà probabilmente il piscio d'un cane.
Considerate la popolazione canina in grecia (vedi post su Atene del 19/01/05) e la presenza del Mediterraneo a pochi metri dalla bandierina del corner, mi riservo tuttora qualche timore. 

Ma c'è poco da fare gli schizzinosi: oggi nella antica Candia Veneziana, la moderna Heraklion, all'ombra della catena degli Idi Psiloritis, gioca la squadra più forte dei Balcani.
Lo stadio si accende di rosso e le voci si fondono nella coralità di quindicimila spettatori:

O-LI-MPIA-KOS, O-LI-MPIA-KOS, O-LI-MPIA-KOS....
Immaginate la scena.
Quindicimila individui incoscienti dei tranelli del destino e dell'ingegneria, riuniti nel nome di una dissennata idolatria animistica per un feticcio in pelle, rotolante, sferico e made in china.
E tutti a saltare.
- Dio Santo! fermi, che crolla tutto! FERMIIII!!!!
O non capiscono l'inglese o non mi hanno sentito.
Oppure sono ingegneri.

Come avrete intuito, nel bel mezzo della bolgia, trascinato quasi contro la mia volontà, ci sono anch'io.
Se c'è una cosa di cui mai mi è fregato in vita mia è il calcio.
Tengo all'Inter perchè da bambino mi piaceva l'azzurro (quindi ho rischiato di diventare Atalantino...).
Conosco i giocatori? Certo. Quelli del 1984 quando passavano gratis gli album delle figurine -sospettate dalle mamme essere intrise di droga- davanti alla scuola: Rumenigge, Brehme, Matheus (come il vino..)...fino a Walterone Zenga.
Ma Basterebbe chiedermi tutti quelli che ci stanno in mezzo per capire che ne so più di geografia del Tagikistan che di calcio.
Insomma, in questo stadio, sono la persona più fuori luogo dai tempi di Rocco Siffredi al Festival del Cinema di Cannes.
(Con tutto il rispetto che ho per Rocco, intendiamoci..).

Ma il clamore è tale, gli animi sono così accesi che mi lascio contagiare.
Scientificamente questi avvenimenti sono chiamati fenomeni collettivi.
Un elettrone solitario si muove un poco se attratto da una carica opposta.
Onestamente, niente di veramente speciale.
Se ne piazzi tanti insieme, uno vicino all'altro su un circuito, questi cominciano a girare, fanno una corrente e se vuoi ci accendi pure una lampadina.
Ma se sono veramente vicini, in particolari condizioni, si costituiscono in coppie di Cooper e sanno fare una cosa ancora più speciale: la "super-corrente", che non si ferma mai e ti fa risparmiare sulla bolletta.  
Così io, di norma elettrone riservatissimo, percepisco la corrente.
E partecipo all'effetto Joule: la lampadina.
Seguo i cori, canto delle parole incomprensibili, serenate d'amore verso la mia nuova squadra, l'Olympiakos, e sporcaccionate dedicate alle mamme dei giocatori avversari: i giocatori dell'Ergotellis.
Per la Cronaca, l'Ergotellis è la seconda squadra di Herklion, composta per lo più dai figli dei custodi dello stadio.
Il livello della squadra è grosso modo quello dei pulcini del Foggia, con qualche defezione.
Ovviamente, è l'ultima in classifica nella serie A greca.
Conta di 7 tifosi tra cui due mamme e una sola fidanzata, pure racchia.
Partita facile per L'Olympiakos, team-leader del campionato.
Si è visto.
   


In campo i giocatori.

Nelle file dell'Olympiakos, reduce da un passato remoto glorioso e da un imperfetto imbarazzante al Milan, Rivaldo.
Entra nello stadio ed è una ovazione.
Mi sta pure sulle palle, ma non riesco a trattenere le urla di entusiasmo.
Sono "Fenomeni collettivi".

Il fenomeno tocca una palla.
Ovazione.
"Fenomeno collettivo".

Sbaglia.
Ovazione.
"Fenomeno collettivo".

mah...

quartominuto del primo tempo.
L'Ergotellis segna un gol da officina degli orrori.
Ovazione.

Non capisco.
Chiedo spiegazioni: "incoraggiamo i nostri beniamini".
-Ah!
Ovazione.

Al 15' mando a farsi fottere i fenomeni collettivi.
Tutto lo stadio è una torcia rossa che sprigiona scintille, fumogeni, urla, cori. 
Sono nel centro di un incendio dove ogni tifoso è un tizzone vestito di rosso e pure paonazzo.
E io, al 15' del primo tempo, con Rivaldo impegnato nel campo, e l'Ergotellis inspiegabilmente in vantaggio, sono muto, assente, visceralmente concentrato sulla tifosa più bella che la storia del Calcio abbia ancora registrato.
Ed è di fianco a me, che si divincola, grida, si affanna, sussulta... si alza a muovere il suo corpo come una frusta, elastica come un felino africano, elegante, sinuosa, micidiale.
Il suo corpo racchiude il giusto equilibrio tra sensualità e atletismo.
La sintesi di prosperità e snellezza, i tratti fini, la pelle scura del volto su cui abbagliano due enormi inspiegabili occhi azzurri, tutto richiama il mito: l'abbondanza di Proserpina, il fascino di Afrodite, l'agilità di Artemide, la malizia di Elena... tutto ravvivato nell'estasi dei suoi movimenti inconsapevolmente (almeno credo) provocanti di giovane tifosa.      
Zitto.
Non parlo, solo ammiro estasiato e sento sprigionare in me il fuoco, la passione ardente che dagli occhi mi pervade lo stomaco e le interiora.
Pandora, perchè hai disobbedito ? Perchè hai aperto il vaso ?
Libero il demone sacro del tifo e comincio a divincolarmi al ritmo del suo bacino in questo rito ancestrale dagli effetti sconvolgenti.
Abbandoniamo le individualità e ci lasciamo guidare dall'istinto del tifo.
Grido più che posso in modo di rendermi individuabile in mezzo agli altri quindicimila spettatori.
Ma sono di fianco a lei, e non dovrebbe essere difficile notare l'unico tifoso pagante con lo sguardo evidentemente non rivolto verso il campo.
La pressione dello sguardo è tale che si gira.
Scientificamente parlando, sto cercando di passarle un fonone.
Sessualmente parlando, un'altra cosa.
Incrociamo lo sguardo, e stabiliamo un contatto a distanza.
Sì, siamo abbastanza vicini, meno di una "lunghezza di coerenza". 
Basta Lampadina.
Io e lei: Coppia di Cooper.

44esimo minuto.
Geogatos( o Georgakis, non chiedetemelo..), ex presenza neroazzurra, mette a frutto le conoscenze calcistiche apprese nel belpaese, e nonappena intravede un difensore, si butta in terra nel rettangolo dell'aria di rigore urlando come un vitello sotto macello.
Rigore inesistente per l'Olympiakos.
Ovazione.
I giocatori confabulano: "lo tiro io , no lo tiri tu...fallo fare a quello là che non parla il greco..."
Ovazione.
Rivaldo si presenta sul dischetto.
Ovazione.
Rivaldo si prepara.
Silenzio

Silenzio.

Silenzio.

Rivaldo inizia la rincorsa per calciare,...uno, due tre, ....tiro in alto al sette dove è più facile sbagliare, diavolo d'un brasiliano...non ti ha insegnato niente la storia?!....ricorda Baggio a USA 94 .... il portiere intuisce la traiettoria ma è troppo angolato... o è dentro o è fuori....dentro!
......Gooooooooooooooolllllll!!!!!!!!!

Esplosione del Pankritio.
Scientificamente parlando: Termodinamica del caos.
(fermi, Diosanto, che crolla tutto, fermi...)

fine primo tempo.
 

 

#

Che cosa accade nella mente dell'allenatore della squadra più sfigata del campionato quando per uno scherzo del destino gli viene concesso il prodigio, il miracolo che potrebbe cambiare il senso della sua carriera? Che cosa potrebbe fare quando i suoi avversari, che sono normalmente in condizioni di manifesta supremazia tecnica, oggi si muovono in campo come delle galline in amore, e quando esiste un rischio concreto di vittoria contro la prima in classifica ?
Che cosa ha pensato quest'uomo quando il suo diretto rivale, l'allenatore dell'Olympiakos, ha deciso di ritirare il fenomeno, il brasiliano dai piedi di fata, per inserire un diciottenne alla sua prima apparizione in serie A?
E quando i giocatori dell'Olympiakos hanno cominciato a litigare fra di loro per questioni di appartenenza etnica?
Io lo immagino così.
Probabilmente si è appartato nell'oscurità di una toilette, nervosamente ha abbassato il sedile e si è seduto accendendosi una sigaretta. Tutto in un solo movimento.
Me lo immagino nell'intervallo seduto sul water con il soprabito, i pantaloni abbassati e il cappello in testa.
Il sudore gli accarezza le tempie, fatica a centrare la bocca con la sigaretta per il tremore nervoso della sua mano, gli occhiali appannati dalle ondate di calore che il suo corpo sudato e sovrappeso emana. I baffi grigi malcurati gli pungono le labbra, la bocca asciutta e colma del fumo della sua  nazionale, gli occhi strabuzzanti che si concentrano sulla cenere che non cade mai, lì, sempre attaccata , come se, per questo momento , fosse lui l'unico al mondo a sentire il peso opprimente di una gravità espansa.
E il pensiero che lo assilla ripete la sua eco come un registaratore nella sua mente vuota e scura: "Mio Dio!, se vinco cosa faccio....Mio dio!, se vinco cosa faccio ...Mio dio!...."
Ha solo i 10 minuti dell intervallo per pensare, e questa frase che lo assorda nelle tempie non dà tregua. Che cosa deve fare ? Che cosa?
...
La sigaretta è finita e finalmente la cenere è caduta.
Il tempo degli indugi è finito.
E' l'ora delle decisioni.
In spogliatoio, dai ragazzi. Oggi si fa a modo suo e poi tutti in campo a giocarci questa maledetta domenica.


Campo, Inizio del secondo tempo.
I giocatori rientrano in campo con la flemma tipica che contraddistingue più che altro i malati terminali piuttosto che i giocatori di una squadra di calcio.
Se soltanto uno di questi stronzetti miliardari avesse l'entusiasmo di un capello degli uomini che lo incoraggiano dalla curva, sarebbe già tutto un altro spettacolo.
E invece assistiamo alla nascita di una nuova disciplina sportiva dal nome esplicativo: si chiama "Indecenza".

Che cosa ha detto alla squadra l'allenatore con la paura di vincere?
Immagino la scena.

Quest'uomo, reso goffo dai chili in eccesso, da una pancia strabordante e da un cappello a quadri scozzesi, si rialza dalla tazza con uno scatto, e ci butta il filtro soltanto dopo aver aspirato un lunga boccata rubata al mozzicone esaurito, fino a scottarsi le dita....
" Al diavolo !", pensa, "ne ho bisogno ancora uno...".
Di corsa tira lo sciacquone e cerca di darsi alla meglio un aspetto presentabile.
La pancia gli sbatte contro mentre cerca di aprire la porta per uscire, ma il nervosismo è tale che non può fare altro che trattenere il fiato, scartare la ceramica del cesso e infilare l'uscio alla volta dello spogliatoio.
Le mani le laverà un'altra volta: adesso deve correre dai ragazzi.
Il corridoio sarà lungo una ventina di metri, interrato , scuro. Le uniche luci sono date dai neon ronzanti e intermittenti posti alla distanza di circa 7 metri l'uno dall'altro.
Sente i suoi passi svelti, il rumore dei tacchi sul marmo , scandire il tempo impiegato per arrivare davanti alla porta del suo spogliatoio.
Immaginatevi questo rumore. Venti lunghi metri.
Eccola, la porta.
Da solo, davanti alla porta chiusa.
Si passa una mano sulle labbra, l'ultimo momento di indecisione che si concede.
Un lungo sospiro, sofferto, e poi mette la mano sulla maniglia.


Campo.
I giocatori dell'Olympiakos sanno.
Sanno che se perdono questa partita si troveranno il Panatinaikos a mordergli le chiappe a soli due punti da loro, ma con tutt'altro calendario, e con tutt'altro spirito.
Il Panatinaikos insegue e loro stanno cercando di scappare come delle lepri.
E allo scontro diretto, la lepre si sa che fine fa col cacciatore...
Ma oggi il loro gioco non viene...diamine sono troppo nervosi, hanno capito subito che questa partita era troppo facile sulla carta e c'era qualcosa che non andava...
I giocatori non si comportano bene.
Ormai è noto, i giocatori dell'Olympiakos pensano tutti senza eclusioni che l'allenatore è uno stronzo perchè, essendo un fottuto serbo, mette sempre in campo i suoi conterranei, tre contadini scampati alla guerra e rifugiati come calciatori in territorio ellenico...
Ce ne fosse uno che sa stare in piedi!, e poi si sa che lo stronzo dell'allenatore odia Rivaldo e lo mette in campo solo perchè ha una paura fottuta che la curva atrimenti lo linci alla prima apparizione pubblica....
"Ma diamine!, oggi proprio non ce ne funziona una..."


Spalti.
L'incendio di tifosi colorati di rosso non si estingue.
Il più vecchio dei tifosi non ricorda di aver mai assistito a una partita tanto orribile.
Ma il comune pensiero ordina di crederci fino all'ultimo perchè non portare a casa la partita contro l'Ergotellis è proprio da minchioni....
Cori.
Personalmente, non ho staccato gli occhi dalla Semidea fino alla prima Molotov.


Spogliatoio.
Il ciccione entra finalmente con un gesto plateale nello spogliatoio.
I giocatori si stanno asciugando il sudore e parlottano. Poi finalmente lo notano, e lo guardano straniti.
Non lo avevano mai visto in quelle condizioni: sudato, febbricitante, gli occhi spalancati come se vedesse di nuovo per la prima volta dopo quarant'anni.
Loro?
Loro no, sono carichi, sanno che oggi ce la possono fare, con la prima in classifica, la loro occasione, il loro trionfo.
Lui , il ciccione, non dice niente.
Si aggira per lo spogliatoio e aspetta di avere convogliato su di sè tutta l'attenzione della squadra.
I ragazzi non capiscono e lo osservano. Non riconoscono in lui il loro Manager, vedono soltanto un panzone maleodorante con un lembo di camicia cadere fuori dai pantaloni, la zip spalancata e lo sguardo da folle.
Cammina fissando i giocatori, con gli occhi privi di qualsiasi espressione.
Si china al centro della stanza e si siede sui talloni.
"Ragazzi", attacca a parlare, " venite qua vicino che ho da dirvi due cose..."        


Campo.
Giocatori dell'Ergotellis.
- "Dio Santo! Eppure oggi ce la potevamo fare...ma perchè cazzo..."
- "E stai zitto che tanto ti pagano uguale ...chettefrega..."
- "Stronzo! Sai dove cazzo arriviamo se la pensi così, ti meriti proprio quel rotto in culo del Mister... "
- "Sei tu il rotto in culo!, ...se giochi in una squadra fai quello che ti dice l'allenatore.."
- "Sì, così se l'allenatore è un minchione cagasotto, lo diventi pure tu.. pensa a giocare và...."
....


Campo.
Giocatori dell'Olympiakos.
- Sti bastardi mi hanno prorpio rotto i coglioni... guarda quello stronzo a terra, cazzo sarà la terza barella che fanno entrare in campo...
- sì, e poi la scenetta col dottore, cazzo, ci mancava che gli facesse una radiografia a centrocampo...
- L'unico che gioca un pò è il terzino...
- sì, ma stai attento che non ti azzanni una gamba...lo sai cosa mangiano, quella gente lì..
- eh eh, mi porto dietro una banana per tenerlo buono...

 
Spogliatoio.
"Allora ragazzi, avete visto che oggi possiamo fare qualcosa di grande..."
i giocatori si sentono sollevati, sorridono e bofonchiano fra di loro per darsi coraggio, capiscono che il mister è li per incoraggiarli...credono...
Il capitano della squadra: "Sì, oggi possiamo farcela..."
Il mister: " sì, bravi..."
Il capitano:"....a vincere."
Il Mister diventa serio, anzi no, torvo: "No!" grida. "non avete capito nulla, imbecilli!"
Muove le mani nervosamente come se volesse prendere a pugni l'aria.
I giocatori sono ammutoliti, increduli, confusi, spaventati.
Poi riprende sottovoce ammiccando un serafico sorriso: " Noi, oggi.. " scandisce bene le pause, "ce la facciamo....", pausa,  "...a....", i giocatori propongono il capo verso di lui , "...a....a....a... PA-REG-GIA-RE!".
....
Silenzio interrogativo nello spogliatoio del Pankritio.
Si ode soltanto lo sciacquone del cesso e i tacchetti del terzino africano che esce dal wc con ancora in mano il rotolo di cartaigienica.
Il Mister lo guarda con sufficienza e pensa "...anche se questo non sente...non capisce una mazza di greco e tanto è come se non ci fosse in campo...."


Spalti.
Le urla si fanno più nervose.
A ogni fischio dell'arbitro per un fallo ce ne sono quindicimila per i giocatori dell'Ergotellis.
Qualcuno accenna moti di nervosismo.
L'incendio dei tifosi attecchisce sulle balaustre.
Io mi concentro sulle sue labbra carnose e dimentico sto schifo di partita.


Campo
I giocatori dell'Ergotellis lo fanno a malincuore perchè sanno.
Sanno che non accadrà più nella loro vita di riscattare il peggior campionato che li ha visti condannati alla retrocessione matematica, con la più esaltante delle vittorie in casa, contro il brasiliano della "Selesao" e la supremazia indiscussa dell'Olympiakos.
I giocatori dell'Ergotellis cadono sul campo a distanza di pochi minuti l'uno dall'altro simulando strappi, contusioni, appendiciti, infarti.
E una volta a terra, applicano le istruzioni del Manager "...perdete TEMPO! capito? Rantolate, ammalatevi di epatite, vomitate in campo se necessario, pero ogni minuto di azione , ne voglio vedere sette di vuoto assoluto..."

Lo faranno pure a malincuore...
Ma lo fanno veramente bene, da veri, autentici paraculi professionisti.


Arbitro, nel cevello.
- "Oddio, forse dovrei arrabbiarmi con questi che continuano a fingere, però prima gli ho dato il rigore contro  ..? ...Capita di sbagliare... No, io non dico niente, non posso mica inimicarmi i tifosi, già so che finisce che qualcuno mi sfregia la macchina... "


Spogliatoio.
Il tono della voce ora è militare: "Non voglio vedere nessuno, dico NESSUNO attaccare per un cazzo di GOL. A noi oggi deve bastare uno stronzo di pareggio e , per la miseria voglio vedervi stare male su quel fottutissimo campo, piangere fottutissime lacrime, e all'occorrenza vi rompete pure una gamba se necessario! Avete capito ?!..non vi preoccupate, dopo parlo coi medici.."
-"Ma mister, magari possiamo pure vincere oggi..."
-"Tua nonna puoi vincere!" Sta cominciando a sgolarsi e il tono della voce diventa roco." Sono cinquant'anni che dedico la mia vita a questo fottuto gioco e TELODICOIO!, con sti stronzi noi NON-VIN-CIA-MO, capito? NON-VIN-CIA-MO....E io non ho intenzione di prenderlo in culo ancora dal presidente..!"
 

Campo.
93esimo minuto. Terzo minuto di recupero del secondo tempo.
La partita è stata uno spettacolo indecente: per la maggior parte del tempo la palla è rimasta ferma ad aspettare che i dottori uscissero dal campo per prendersi cura dei malanni dell'Ergotellis.
Il terzino pensa che è stata proprio una brutta partita e che forse oggi poteva essere la giornata giusta.
Forse, si divertiva di più quando giocava in Africa.
Improvvisamente la palla gli rotola fra le gambe.
E allora si ricorda di saper correre come un leone nella savana che sa che in tempi di siccità e carestia, non può permettersi il lusso di perdere la preda.
Corre. Corre lanciato verso la porta dell'Olympiakos, fronteggia un difensore, lo scarta come la gazzella che sa di dover dribblare il leone che la bracca, per salvare la pelle , e continua la discesa verso la rete avversaria.
L'estremo difensore gli si avventa contro e in questo preciso momento succede. Sente improvvisamente scorrere nel sangue lo spirito sacro della Grande Savana che gli infonde la potenza del leone e la velocità della gazzella, i tamburi Camerounensi mimargli il ritmo del suo cuore che batte a risvegliare lo spirito guerriero delle sabbie Gialle.... dribbla quindi travolge il portiere, bailamme!, la palla gli rotola sul ginocchio, un colpo di reni troppo importante per mancarlo, e la palla finisce in rete.
...
...
...
...
gol.

Silenzio.
Silenzio in panchina, sul campo e sugli spalti.
Esplode il Silenzio in Heraklion.

Ergotellis 2, Olympiakos 1.


Spalti.
I tifosi si tengono le mani sulla nuca. La partita sta per finire e l'Ergotellis ormai ha vinto.
Passano 20 secondi dal gol e ancora la tifoseria non parla, in attesa di realizzare.
Poi, finalmente , qualcuno realizza. E lancia una bottiglia.
E parte il contagio.
I tifosi accendono la guerriglia nello stadio, scoperchiano i sediolini e li gettano in campo, sassaiole contro i poliziotti, contro i giocatori , la polizia che comincia a caricare.
Improvvisamente nessuno guarda più il campo, ma solo i focolai di risse che si accendono direttamente sugli spalti.
Si cominciano a bruciare cassonetti sulle strade ed iniziano le prime cariche della polizia disposta a testuggine.
Io allora vengo svegliato, alzo lo sguardo e realizzo di essere nel centro di una guerra civile.
E' il caso di correre, e finalmente, dopo 90 minuti, di togliere lo sguardo dalla tifosa dell'Olympiakos.
Addio, mio gioia, addio mia stupenda sposa, un giorno ci rivedremo, se lo vuole il destino....
Ora devo andare..      
 
Ora, per concludere, posso solo immaginare come si sarà sentito quello stronzo dell'allenatore dell'Ergotellis, a vedere fallito ancora una volta il suo fottutissimo piano da vigliacco.

La palla è in rete, le prime bottiglie sono state lanciate, l'arbitro decreta velocemente la fine della partita e, preoccupato di salvare la pelle il più velocemente possibile, corre a rifugiarsi sotto il tunnel.
Lui, il panzone, incredulo, esterrefatto, già teme la telefonata del presidente, le felicitazioni non volute che sanciscono il dramma di essere l'uomo beffato nel modo più terribile dal destino.
La bocca aperta, il cappello storto, il soprabito scende statico sulle sue spalle rilassate, a mettere in evidenza ulteriormente la presenza di questa grossa pancia ridicola.
I giocatori stanno tornando e lui ancora fissa il campo con la delusione scritta nei suoi occhi persi da bambino.
Ha perduto ancora quest'uomo, nella maniera più terribile, e non potrà neanche godere del rassicurante disprezzo della gente, ma si dannerà nel rimpianto di non essere riuscito a non fare succedere niente per quarantacinque fottuti minuti.
E' solo al bordo del campo, senza neanche le lacrime, e con quelle parole che non riesce più a fermare:" Dio mio!.. come faccio adesso?...non volevo...Dio! mio!.. Come faccio adesso?...io non volevo...."


Spogliatoio.
- "Ragazzi, fate come vi dico, oggi è la giornata buona, me lo sento, pareggiamo!, lo sento ...adesso andate che comincia il secondo tempo.."

 
 
  

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Rosa.

Talvolta, al tramonto, quando il cielo lascia intravedere le montagne e tutto sopra la tua testa è nitido, guardi verso il mare, più in fondo, dove lo sguardo non conosce barriere.
E le vedi.
Sono le ultime nuvole di una vecchia tempesta, l'ultimo lembo smarrito di un gregge compatto di nembi infuriati che attraversano a nuoto i cieli e sorpassano i mari.
E allora, al crepuscolo, quando il cielo risplende acido di arancio e rosso, volgi a loro la tua attenzione e le  riscopri essere meduse rosa galleggianti nel mare ancora celeste all'orizzonte.
E le vedi ancora sciogliersi in milioni di tentacoli sulla superficie marina, da lontano, quando qui c'è il sole, ma ancora piove.
Sul mare, lontano, quando ancora piove.

Giallo.

Questa foschia non mi piace.
Ha un odore e che non capisco ed arriva con il vento.
Dopo che è passata la raccogli con la mano, la sabbia.
E' il deserto, che impollina la terra con semi di silicio, attraverso i venti che dall'Africa
riscaldano e coprono la città.
E l'aria che respiro è ocra, pesante e calda.
E porto il deserto fin dentro i miei polmoni.
E nei miei occhi, spesso.    

Blu.

Da su a giù. A strati.
Celeste, azzurro, bianco di banco di nuvole, azzurro, linea dell'orizzonte, violetto, blu profondo, azzurro, verde, celeste, giallo delle mura.

Da giu' a su.
Tutto al contrario.

Nero.

Non esattamente nero.
Sono sfumature di grigi che terrorizzano dove è più scuro, nuvole basse e pesanti plasmate dal vento a somigliare gatti randagi che litigano, soffiano, rizzano il pelo e poi... lanciano saette.
???
Mbeh!?...Sono i gatti di Zeus... 


Bianco, semplicemente.

Qualche volta, pure qui è nuvolo.

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Lo sapevo.
Sapevo che prima o poi quest'isola si sarebbe colorata di rosa.
E tutto assumere le sembianze che da quaggiù ci sono proibite, ma che gli dei conoscono.
Come se mettessi finalmente a fuoco.
Le montagne dell'ovest avrebbero prima o poi dovuto apparire per quel seno nudo, rigonfio, che stavo aspettando.
Le estremità appuntite che non si guardano, perchè l'Isola, l'Amante, sta sdraiata supina con le braccia, bianche, dolcemente incrociate dietro la testa.
Ad occhi chiusi, e inarca la schiena.
La postura evidenzia il profilo delle costole, scogliere sassose levigate dal vento, a tuffarsi nelle acque profonde del mare, e i suoi fianchi emergono dal lenzuolo blu che le circonda la vita.
Creta, nuda, priamverile, si contorce in un sonno agitato e gira il bacino sul suo lato destro, il mediterraneo, e lascia le natiche rosa, i monti Psiloridis, esposti in faccia all'Africa, dolcemente adagiati sul giaciglio del Mar Libico.
Sono alti e innevati, candidi e rocciosi.
Scendono,  come inevitabilmente le cosce di una donna seguono il profilo di un anfora greca, dolcemente, fino alle ginocchia unite.
Plateu Lasithi, l'altopiano che domina la parte centro-orientale dell'isola, è in effetti questo spigolo di roccia e cartilagine, che segna la fine del pendio lieve delle sue coscie e il brusco inizio delle gambe.    
I piedi, sovrapposti concludono ad oriente la figura di questa donna dormiente, snella, svestita e posata al centro del letto del mare, spiata dalla malizia di Europa, Maghreb e Medio-Oriente.
E da me.
In quest'Isola, in questa donna, in questa amante, vivo, in una città disordinata e incomprensibile, Heraklion, circondata dalla vegetazione e dal verde, sulla costa nord bagnata dal mediterraneo.
Esattamente al centro dei sui fianchi.
   #


Rieccomi alla tastiera.

Sì, stasera non me la sentivo proprio di uscire.
Sono rientrato in  casa con il passo di un ippopotamo gravido, appesantito dai chili in eccesso.
E mi sono messo ai fornelli.
Stasera mi sono cucinato una carbonara, circa mezzo chilo di spaghetti immersi nell'ovetto sbattuto, una manciata di pepe, pancetta rosolata nel burro e funghi, a renderla più originale.
Non avevo il parmigiano, maledizione!
Ho fatto a brandelli delle sottilette di formaggio francese, quello che si squaglia facilmente, quello della "vacca che ride".
Che c'avrà poi da ridere....
Sento addosso una stanchezza improvvisa, un umore malandato, i segni di una desolata trascuratezza.
Ho lasciato l'Italia con la convinzione che nel mio corpo albergassero due sole anime.
La prima, la più colta e allo stesso tempo la più imbarazzante. Quella che risiede stabilmente nel mio cervello.
Per capirci, quella che scrive su sto Blog.
E poi la seconda, la più genuina.
Quella che comanda dal centro delle mie gambe, e che risiede stabilmente dall'età di dodici anni  stretta nella stoffa avvolgente delle mie mutande.
Non serve che specifichi oltre.
Ma in Grecia, ho scoperto, devo fare i conti con un nuovo ospite, una terza anima ingombrante che prende piede giorno per giorno, si espande ed ordina, pretende e condiziona.
Non so abbastanza di lei, ma ormai ci siamo individuati a vicenda.
Sta sopra quell'altra.
Sì, è quella che sta nella pancia, in fondo al tunnel del mio ombelico.

Ma riprendiamo a parlare di noi.
Torniamo, noi tre anime, chiuse strette dentro a questo corpo, e ci mettiamo ai fornelli.
La pasta và buttata e l'anima che risiede nel ventre suggerisce di aumentare la dose per stasera.
Più che un suggerimento, un ricatto.
Già la sento che piangerà tutta la notte.
L'uovo, la pancetta e i funghi sono già pronti.
Stappo una birra e mi siedo ad aspettare la cottura.
Dio, che malessere... i pantaloni stretti in vita mi torturano, non c'è altro da fare che sbottonarsi ancora prima di mangiare.
Un altro schiaffo morale alla dignità dell'anima che mi pernotta nella testa.
Un onda di grasso mellifluo dilaga dall'apertura dei pantaloni e litigo sulla sedia per l'imbarazzo di non sapere dove sistemare questo ingombrante carico.
-<<LaMadonna!...>>.. un rigurgito religioso, mi avverte della drammaticità dell'evento.
Un pensiero (...No, non al Papa...).
La pasta sarà cotta.
Assaggio: è pronta.
"tutti a tavola."

...

Beh, buona era buona.
Raccatto con pane e forchetta gli ultimi resti di uova e pancetta inavvertitamente fuggiti alla voracità del mio appetito.
Che schifo.
Ho mangiato direttamente dalla pastiera.
Il cervello scandalizzato ordina per lo meno di mettere una canzone, un sottofondo consono ad una storia di degrado umano e povertà.
Sono partito che stavo'na bellezza....ed ora sunnu 'na monnezza.
Cerco "la morte del cigno", ma che cerco a fare?, non ce l'ho...
"Zebda"? Va bene.
Attacca con il CD, che qui ho degli amici da aggiornare...

Inutile dirvi che qualche cosa è successa da quando ho smesso di scrivere.
Vi ho lasciati con la promessa fasulla che mi sarei finalmente impegnato sul lavoro.
Suvvia, non ci ha creduto nessuno...che ve lo spiego a fare...
I miei puerili tentativi si sono arrestati infrangendosi sulle mura della città di Noia dopo pochi minuti dal giuramento.
Che ci volete fare, non sono buono a fare tutto.
Per carità, non che non capisca la Fisica dei Clusters.
Ma è che mi pagano lo stesso, anche se non produco sapere.
Un mio amico, che ha l'animo del poeta, direbbe che in questa società scientifica, sono "utile come un culo senza il buco".
Non so perchè, ma ci sta bene...

L'animo che normalmente protesta dal basso del cavallo dei miei pantaloni, finalmente è tornato ad essere soddisfatto, ha trovato i suoi svaghi e, al di fuori dei suoi momenti di gloria, escluso -per così dire- dalle sue competenze, sta mansueto e mi lascia libertà di azione.
L'alcool per rilassare i neuroni, il cibo per rabbonire il ventre.
Insomma, a ognuno, il suo.
Ma il cervello, si sa, è ribelle.
E forse, ogni tanto, pure stronzo.
Talvolta si mette in testa che è Lui cui spetta il potere, e combina i guai.
Come quando ha lasciato, per l'ennesima volta, quella ragazza.
... più che altro questa, quella che avevo qui.
Sì, è così.
Sono tornato single per scelta, o meglio per disdetta di essere una creatura pensante.
Pensante nel senso che pensa cazzate.
...Single!
Qui di 'mmericani non ce ne stanno.
Si dice "solo", solo come un cane.

Scrivere, scrivere....devo scrivere....E' l'unica ragione che trovi a suffaragare la mia presenza in Grecia.
Questo Blog e i suoi lettori.
I lettori, così abilmente bistrattati da chi vuole tenere salde le redini, per non lasciare naufragare nella cacca molle l'unica zattera, per quanto virtuale, rimasta a salvare il mio Ego.
Ho scelto a malincuore di esercitare un potere in quanto padrone di questo dominio informatico, a fin di bene.
Talvolta sono stato duro, è vero.
Ma qui io sono il Master, il Principe, e non ammetto insurrezioni.
Macchiavelli, che non era nè ribelle e neppure no-global, avrebbe concordato, ne sono sicuro. 

Ma ne sono successe altre di cose che, poi mi sono anche messo a scrivere.
Non starò qui a raccontarvi tutto e subito.
Anche a rischio di dimenticare qualcosa, prendo ancora il mio tempo.

Ora vi auguro la buonanotte.
Almeno voi, spero che stasera abbiate digerito.
Purtroppo a me, la carbonara, sta ancora sulla bocca del duodeno.

Proverò a mandarla giù con un rutto.

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Pubblicazione Nazional Popolare.


....Allora, vediamo, il Fisico, no, non lo voglio fare....il Manager no, non ho la personalità del leader e poi io l'aggettivo "vincente" non so manco cosa voglia dire....fatemi pensare.... La velina?....mhmmm meglio di no....che lavoro posso fare?

Forse devo fare il Papa.

Papa...
Non male.
Un pò come avere un blog: scrivi due righe da leggere la Domenica, abbastanza banali, le tipiche stronzate per l'italietta che subito dopo si sintonizzerà a vedere "Buona Domenica", e che si vuol sentire dire dal Santo Padre tutte quelle cose in grado di dispensare l'uso della ragione e del coraggio.
"Volemose bene, che semo frateli ...macchè ce frega ma che ce'mporta..fatte na preghierina..."
Ma ne avete una vaga idea?
PONTIFICARE!
SI! Io Voglio PON-TI-FI-CA-RE!
E' il sogno proibito di qualsiasi sottospecie di omunculo da Bar, avete presente?, quelli che hanno sempre una risposta pronta a tutto, un teorema per ogni situazione.
Quelli intelligenti, quelli che hanno capito tutto della vita, e allora però non si capisce come riescano sempre a ridursi più in basso degli altri.
Ne conosco di gente così.
Basta scegliere un'argomento a caso e loro ...Paff!, cominciano a fare i professori.
Se vi guardate intorno, in questo momento, ne siete circondati.
Ma uno più di tutti fa decisamente più schifo.
.....
Indovinato!
Sì, ma non lo dite a mia madre.

Insomma, oggi proprio voglio fare il Papa.
Cazzo!, se penso ai PAPABOYS mi viene la pelle d'oca! Sono molti di più dei Fan di Bono Vox, sono più incazzati e sicuramente hanno la media più alta all'università.
Li vorrei avere io, tutti per me, sentirli gridare la domenica in Piazza San Pietro, vedere le ragazzine che si strappano i capelli quando Io, Papa PAOLO ADAMO PRIMO, faccio apparizione dal Balcone del Vaticano.
Dio, se potessi fare il PAPA!
Mi affaccerei, prenderei in mano il microfono e comincerei a cantare "D'yer Maker" dei Led Zeppelin di fronte al pubblico in delirio.
L'omelia la farei iniziare a Mezzanotte e le guardie svizzere le farei andare in giro a distribuire i preservativi in mezzo alla calca di "P.za S.Pietrino".
E a fine concerto, mi lancio pure sulla folla.
Ah,non vi preoccupate, ingresso libero ai lettori del mio Blog...


E ve le immaginate le visite del Papa?
Stupendo...Prima tappa del Tour: Washington D.C.
Washington, District of Columbia?
Manco per sogno: "Washington Dopo Cristo", perche se divento il Papa, non ammetto secolarizzazioni.
Arrivo alla casa Bianca, saluto il portiere, vado subito a vedere con morbosità il tavolo dove Clinton si sbatteva la Lewinsky e poi vado di fronte a George daboliù.
Immagino la scena.
Mi viene incontro per stringermi la mano, tendo la mia e poi...fiuuù...all'ultimo momento la tolgo e la dirigo verso le mie palle come per dire: " SUCA".
Lui risponderà: "What?"
E io gli risponderò che è latino e che l'ho appena scomunicato.
Via!, scomunicato George Daboliù, vado a Las Vegas e benedico tutte le puttane.

I vestiti! Dio che belli i vestiti del Papa!
Adoro i cappelli strani, a casa spesso, quando sono ubriaco faccio il gioco dei cappelli strani.
E' molto semplice.
Basta mettersi ognuno un cappello buffo, e poi è finito lì.
Bello, vero?
Ah, ma si può fare anche da soli non credete....
Bastano pochi cappelli stupidi e uno specchio.
Vedrete come ci si diverte....    
Se avessi la Tiara del Papa vincerei sempre io ...

Il fatto è che io vorrei fare il papa adesso, non voglio aspettare quando ho 70 anni.
Ma che è? Se uno è vecchio e rincoglionito, sarà pure stanco di lottare per un mondo migliore, e allora, certo che si limita a dire fregnacce.
Ma se per fare il Papa ci fosse un tetto di età, non sarebbe più bello?
Se hai raggiunto i 27 anni, via!, a casa!, al massimo puoi fare il cardinale.
Io per i prossimi due anni lo farei il papa, e poi farei pure il cardinale per la diocesi di New Orleans.
Voglio fare il "Cardinale Blues" che suona la batteria per accompagnare B.B. king.
Ed Eric Clpton, lo faccio Santo, perchè ha sposato Lory Del Santo.
(Questa battuta vale tutto il Blog...)

Il problema qui è che si è liberato un posto importante, un posto per qualcuno che andrà a fare parte del salotto dei potenti.
E allora ci vorrei andare io per vedere se in fondo sarei in grado di combinare qualcosa di buono o se invece non c'è proprio niente da fare.
Se è meglio soprassedere e continuare a farsi i fattacci propri fino alla fine dei giorni con la scusa che in fondo, io, "non ho mai potuto fare niente".
E allora sarà per questo che spero che il prossimo papa sia nero, un fratello rastamanno che canta il Ragga-muffin e che mette Marjuana al posto dell'incenso.
Oppure lo vorrei gay, una fottuta checca con due tette posticcie gigantesche, che abbia battuto tutte le strade del Gratosoglio con un pappone alle spalle che la stava ricattando.
Oppure uno zingaro, un ladro che passa le giornate a elemosinare nella metropolitana di Milano fra le occhiate di disprezzo della gente.
Voglio che il prossimo papa sia così.
Brutto, ignorante e sporco di sangue.

Allora non lo posso fare.

A me il sangue fa impressione.

    
   

#

"Si, signor Pretore.
Confesso...


Mi sono scervellato tanto in questi mesi per capirlo.
L'ho cercato a lungo e alla fine l'ho pure trovato.

E' dura la vita, sapete signor Pretore, per chi, come me, dispone di una forte consapevolezza.
Ed è stata dura, ve lo dico con la mano sul cuore, capire quale fosse il senso della mia permanenza in Grecia.
Non volevo rubare i soldi signor pretore, mi creda...
Quella del lavoro, come sapete, non l'ho mai considerata una tesi attendibile.
Non spiegava niente.
Scartata -direi- prima ancora di cominciare.
E allora cosa mi ha spinto a venire qui, perchè in questo momento sto ancora lontano da casa?
Perchè?...
( Minchia, che sofferenza...)

Abbia un attimo di pazienza, signor Pretore, ora, finalmente, lo so. La prego di lasciarmi parlare ancora un poco.
Sono pochi minuti del suo tempo, dotto'-...si beva o'Campari...-
Da quando sono approdato in questi lidi, ho accumulato un bagaglio irripetibile di nozioni, di singolari esperienze che mi hanno attraversato, forse anche mutando profondamente il mio animo.
Non mi chieda come l'ho capito, non ne sono ancora sicuro.
Sarà stato l'azzurro del mare di Ghramvousa, o forse gli ozi rinfrescanti nelle acque di fronte all'isolotto della spiaggia di Balos, sarà stato il cielo terso di quest'ultima domenica passata a dormire sulla sabbia della baia.

Talvolta -dotto'- è solo un raggio solare che scalda una guancia a svelare una latente contentezza.

Ma andiamo con ordine.
Che altrimenti non ci capiamo niente, Vostro Onore.
Vi prego per un secondo di sforzarvi di immaginarmi chiuso, rintanato come una cavia, in un laboratorio di Clusters Formations.
E fuori dall'oblo' della finestra, Creta in fiore, invasa dal sole e dai profumi della primavera.
Sono passati tre mesi: "cos'è un Cluster?", mi chiedete.
Giusto!
 ...Boh...!
Non conosco affatto la risposta a questa legittima domanda.
Ma il punto è ,signor Pretore, che la domanda è sbagliata.

Sì, proprio così, ci ho messo un po' anch'io a capirlo, ma l'importante è arrivarci, non credete, dotto'?
Il Cluster sa fare benissimo a meno di me.....ma anch'io, vi assicuro, ho saputo vivere bene anche senza di Lui...

Arrivato in laboratorio, mi hanno ovviamente chiesto quali referenze e capacità avessi in qualche modo ereditato dai miei precedenti studi.
Si, si me ne rendo conto.
Ho sbagliato anch'io, signor Pretore.
Le mie risposte, erano degne di un picciotto affiliato al Clan di Santapaola.
Nel senso che non ho spiccicato parola : "Io nun sacc' gnente ..."
Loro, i cervelloni, imbarazzati, non hanno potuto fare altro che inchinarsi a baciarmi le mani.
Io sangue siculo tengo ah...

Signor Pretore, il bello viene ora.
Mi hanno chiesto il titolo.
Il titolo?
Che volevate che rispondessi, signor Pretore, io cuntadino ignurant sugnu, non sapevo che rispondere.
O'titolo?
Che gli dovevo dire a quei picciriddi?
Risposi con tutta onesta', ve l'assicuro e lo posso dire giurando sul mio Onore.
Risposi:"...MASTER! MASTER del Blog..."
Signor Pretore, lei lo sa come funziona. Io, O'Master, questo sono.
E loro giù a scrivere tutto...insomma questi hanno capito che io ho frequentato e superato con successo un Master scientifico e adesso mi chiedono la documentazione.
E io che faccio? Gli stampo "Protone, protoprogetto in Lettere"?
E' tutto vero, dottore.

Spesso la gente non si capisce e ci si scanna per stupidi "misanderstendi"...Lei che e' uomo dimondo e ha viaggiato le sa bene queste cose dde' picciriddi...

Ma questo è niente, signor Pretore.
Io qui rischio di fare la fine del capretto alla domenica di Pasqua.
...Si!Si!Nel forno, signor Pretore!
Il mio stipendio è attualmente a rischio perche' in realtà, il capo dell'istituto, un ciccione Greco che di nome fa Costas Fotakis -non dico bugie, signor Pretore- non aveva l'autorizzazione dalla Comunità europea per consegnarmi questa borsa di studio perche' la comunità eurpoea non ha mai stanziato fondi per questo esperimento.
E allora mi vogliono ritirare la Borsa!
Signor Pretore , mi scusi la volgarita', ma a me che minchia me ne fotte della Comunita' Europea ?
Io mi facevo pagare e Basta!
Continuino pure a fare i Cavolini a Bruxelles, che ai Cavolazzi miei ci penso io, ah...
Non li ho rubati quei quattrini, mi creda signor Pretore!
Minchia -Mi perdoni, signor Pretore, Ma sono fuori di me...- Io quei soldi non li rido' indietro perche' ormai li ho spesi tutti.
Andassero a chiederli ai ristoranti di tutta Creta, che io i monney non li tengo piu'.
E' vero, Vostro Onore, e' vero che non lavoravo molto, ma Voi che siete uomo studiato le capite certe cose.
Il cervello non lavora bene quando e' stanco.
La mattina, signor Pretore, che Lei non se lo prende u'caffe'?
E dopo u'caffe', che non ce la fuma una sigaretta?
E poi voi lo sapete come vanno queste cose, non si devono fare troppo di fretta senno' rimangono sullo stomaco, Lei lo sa, e poi ci danno lo malessere per tutta la giornata.
Arrivavo a lavorare a mezzogiorno.
Lei lo sa , signor Pretore, che vuol dire stare chiusi in un Laboratorio come un topo quando c'e' il Solleone laffuori, signor Pretore?
Non e' prorpio possibile!
Io tranquillo me ne andavo al Bar con gli amici, e i dottori, i cervelloni, che passavano ci guardavano male signor Pretore, perche' non facevamo mai una Minchia!
-Mi scusi il linguaggio, dotto'-
MA a noi dava fastidio.
Le occhiataccie, si sa, mettono a disagio.
Ed essere a disagio rompe le palle, dotto'!
E rompere le palle ai dipendenti, si sa, e' Mobbing.

E allora signor Pretore, Chi e' che li deve dare indietro i soldi signor Pretore ?
Io che sono stato discriminato come un povero Emigrante, o loro, che mi hanno pure Mobbizzato -o

come Minchia si dice...-, ah ?

Signor Pretore, insomma, io ve lo devo dire.
io sto qua per un errore.
Lo abbiamo capito tutti.
Ma io -Minchia!, scusasse il torpiloquio...- non me ne vado!

signor Pretore, Io voglio i danni Morali signor Pretore, perche anche io, Minchia sono uomo D'Onore e sono parte offesa,e , signor Pretore, questi Criminali hanno a finire in Galera!!

E allora- mi perdoni dotto' se mi sono dilungato-  cosa posso aver imparato io sul significato ontologico del mio soggiorno di studi in questa terra ?
Nulla.
Nossignore, non esiste un fondamento che regga questa trasferta, e allora , per favore togliamo il velo a questa orrenda buffonata e cerchiamo insomma di affrontare con fierezza la scomoda e fortunosa verità.


Io sto qui per un errore. E' vero.
Ma Io di qui non me ne vado fino a quando non hanno spillato l'ultimo quattrino, vostro Onore...

 

io , Vostro Onore, con il Vostro permesso,  ho finito.
...
...
Che Vostro Onore, ce lo andiamo a bere u'caffe' al Bar?
Non si preoccupi, signor Pretore, ce lo offro io che tanto, paga tutto Bruxelles, paga..."   

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Plenilunio.

E' buffo farci i conti ora che non c'è più.
Ora che è partita e che fatico a ricordarne i tratti.
Ora che è Novilunio.
Suvvia, non ho detto che non me la ricordo.
Ma nella mia mente l'immagine rimane offuscata, i contorni non nitidi, i colori sembrano incerti.
Pochi giorni insieme.
E quello che insisto a ricordare è quell'unica notte tra la sabbia e le mie lenzuola.
Il profilo forse più malizioso, i capelli neri sciolti sul seno , il biancore riflesso dall'epidermide.
La pelle dolce di latte e miele, pallida come la luna sotto il cielo delle mie coperte.
E se lei era sotto le mie coperte, io -sì- allungavo la mano.
Come se stessi toccando  finalmente la luna, e con mia sorpresa l'avessi trovata soffice, liscia, gentile.
La luna, nuda.
Come se l'avessi baciata la luna, come se per una notte la luna si fosse persa nel mio letto, e io, fortunato, l'avessi trovata.
La luna, stretta a me fino al mattino.
E fino al mattino, baciarla, sentirne il profumo, giocare con i capelli nascosti dietro alle orecchie, provarne finalmente il sapore sotto la lingua.
Ricordo i sorrisi e i silenzi.
La luna, muta.
E forse era davvero la Luna, perchè poi, un giorno se ne è partita.
Sfuggita dal cielo, lasciando orfane le stelle, ma soprattutto, abbandonando al vuoto l'interstizio fra la sabbia e le mie coperte. 


"L'intenzione di una lacrima che si asciuga sul nascere.
Chiedo solo che sia perdonata. Dedico una sola lacrima, perchè non ti vedrò più.
Rimarrà il ricordo delle labbra rosa e soffici, di un ventre teso, di un respiro lento.
Il lungo sospiro di una sola notte passata insieme.
Una gemma, un solo lungo istante in cui sei stata eternamente la mia sposa.
Il nostro abbraccio si è riflesso in questa lacrima, e la memoria di un contatto rimane impressa sull'epidermide.
Bianco e dolce di latte.
Nero corvino di ciocche sul petto nudo.
E le parole no, non le ricordo.
Nella pelle mi è rimasta una tua impronta, che dimenticherò non appena l'avrò spostata con la mano."

 

  
 

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Le Donne e i Pistoni

 


Alla Attenzione del signor Tosushi Yamaha,
Shingai, Iwata-shi, Shizuoka-ken 2
20100 Tokio
Japan

 


Gentile Dott. Yamaha,

Lei non mi conosce personalmente, sono un suo cliente italiano che ha di recente acquistato un suo modello nella gamma di motocicli prodotti dalla fabbrica di cui è proprietario.
Non si preooccupi, non devo fare alcun reclamo.
A parte il fatto che mantenere la moto mi costa come mantenere un elicottero apache, tutto, dal punto di vista meccanico, risulta perfettamente funzionante.
Certo, glielo devo riconoscere, la scelta di produrre una moto con la sella rosa, è coraggiosa.
Ma, le assicuro, è più coraggioso acquistarla, e forse anche pure di piu' andarci in giro.
Ci divertiamo lo stesso, io e la mia Gay-bike....
No, no, nessun appunto.
La scrivo, al contrario, per manifestarle la mia profonda gratitudine e riconoscenza.
Vede, mi perdoni se mi sbottono un poco parlandole di me, ma sin da quando ero piccino e all'uscita di scuola i ragazzi più grandi, invece che vendere i libri come Battisti erroneamente cantava, venivano a prendere la mia unica compagna di classe carina - sa, la classica, quella di cui sono tutti follemente innamorati, e allo stesso tempo incapaci di scambiarci due parole, per non morire di polluzioni- , dicevo appunto, che mentre i ragazzi più grandi venivano a prenderla in garelli, noi, piccoli mortali pedoni, si sognava a pieno regime.
Che cosa sognavamo?
Che domanda impertinente... lei è proprio un giapponese!
Me lo sognavo la notte, sa caro dott. Yamaha, di venirla a prendere in fifty.
Oh, Vero! Forse lei manco lo sa cos'è un fifty.
Tecnicamente si tratta di un motorino 50 cc di cilindrata, estremamente popolare fra i prototamarri 15 enni delle periferie milanesi.
In pratica non è altro che una scoreggina.
Due ruote con il motore di un frullatore in grado inspiegabilmente di produrre il boato di un f-15 che raggiunge il Mach 3.
Non mi sarei mai sognato di paragonarlo ai suoi prodotti, che, per altro sono di ottima fattura.
Ma adesso le spiego dove sta l'analogia.
...Sul fifty ci si stava in due.
Nei miei sogni, ci stavamo io e lei, ancora con lo zainetto della ginnastica all'ultima ora, uscivamo sudati dalla palestra, io mettevo in bocca una Big Babol e gonfiavo un pallone rosa con la gomma, enorme, fino a farlo scoppiare.
Perche' sapevo che la eccitava.
E sotto lo sguardo accigliato dei prof, alla faccia foruncolosa dei miei compagni, si saliva in due su quella sella striminzita, io sentivo le sue cosce strette ai miei fianchi, le braccia strette alla mia vita, il mento sulla mia spalla.
E partivo, in fuga per la libertà.
Si, caro dottor Yamaha.
Senza casco.

Ora capirà, questi sogni bambineschi, fanno parte del passato.
Quando si han superato i 25 anni e finalmente smesso di controllare la crescita della peluria sul petto, anche le chimere cambiano aspetto.
Si lei mi ha capito.
Non sogno più di andare a prendere le dodicenni fuori dalle scuole medie.
Ora, lo sa, ci sono le studentesse universitarie, ma per il resto è tutto uguale ....

Perchè lei, dott. Yamaha, è un dritto lo sa?
Suvvia, signor Mangiapescecrudo, mi vuol dire che non l'ha fatto apposta?
Mi vuol dire che non lo sapeva?

Ora le racconto un aneddotto, caro il mio Samurai...
Uscivo di fretta dall'università ripercorrendo con la mente la ricetta della parmigiana di melanzane.
Lo so, sembra strano, anche io non so spiegarmi il collegamento fra i fasci molecolari e il soffritto di melanzane e cipolle, tuttavia a me, ancora, la scienza mette appettito.
Insomma, ero in piena fase di dilatazione gastrica e sovrapproduzione salivare, quando mi imbatto in lei.

Non Lei, dottor Yamaha... "Lei"!, la tifosa dell'Olympiakos, se la ricorda?
 
Un angelo bruno dalle pupille celesti... Santa Madre Natura! meraviglia del creato, grazia infinita dai modi gentili e dalle mani eleganti.
Insomma, diciamo che ero discretamente contento di vederla.
Parliamo e camminiamo, e in qualche remoto angolo del mio animo si nascondeva la speranza che stessimo camminando in tondo, in un corridoio senza fine.
Invece, dopo 7 metri, il corridoio finisce al parcheggio.
Pregustavo l'amarezza di un freddo saluto, di un incontro fugace che si andava a concludersi con indifferenza quando lei, maliarda, mi scorge a liberare dalla catena la motocicletta.
I suoi occhi azzurri, signor Mazinga, avevano su di me il peso di tutta la terra.
Li ho sentiti come una martellata, le assicuro, su di me mentre ancora rovistavo fra le chiavi.
Dottor Yamaha, si rende conto... io ce ne ho tre di chiavi: ma che c'avevo da rovistare?
Ero in palla.

La sua espressione stupita subito si trasformava in maliziosa dolcezza, le fronte distesa e l'avorio dei denti mostrati di nascosto in un sorriso volutamente seducente.

Si, caro dottor Fujiama, ero diventato la preda.

Immagini.
Si avvicina a me con passo da felino, enfatizzando la falcata.
Smetto di respirare.
Ho un incendio che divampa nel profondo delle interiora, rischio lo svenimento.
-" E' la tua moto?..mi piacciono tanto le moto...per favore, mi accompagni a casa?"
E' Blackout.
Il cervello non risponde più.
E dalle mutande, l'inquilino del piano di sotto comincia a guidare le danze.
Prende in mano (si fa per dire) il controllo della situazione, io intanto slego la moto, la invito sulla sella, e infilo il casco il prima possibile per evitare qualsiasi ulteriore dialogo.
Del resto, l'inquilino del piano di sotto sa benissimo che quando il cervello è fuori uso "Lui" non è assolutamente in grado di sostenere la più elementare conversazione, quindi prova a guidare la moto fino alla sua dimora senza verbo proferire.
Signor Yamaha, non crede ora che sia il caso di congratularsi con il mio coinquilino di sotto?
Voglio dire, non è facile guidare in piedi, schiacciato tra la sella e il serbatoio....
Insomma, fu così che ottenni il suo numero di telefono, e per questo la devo ringraziare, caro dottor Gozzilla.

Lei lo aveva capito , vero?
Come , "che cosa?"...
L'effetto che questo oggetto a due ruote ha sulle donne, lei lo sapeva, vero?
Il fatto che liberi nel loro encefalo la serotonina, che catalizzi le pulsazioni di una inspiegabile eccitazione dei sensi ... lei lo sapeva, vero?
Suvvia, non si è messo a produrre moto per caso...senno' andava a fare i robot...
Come me lo spiega ?...forse è intrigante per quella indubbia metafora fallica  che rappresenta.... quale donna non sarebbe attratta da un uomo che controlla la potenza di 35 cavalli nel mezzo delle sue gambe?
E siccome le donne non sanno che sono i CavalliVapore, lei conosceva bene il potere simbolico di un tale richiamo. Sbaglio?

Che volete che vi dica, Signor Marrabbio?
Lei si è mai sentito dire "portami a casa" con quella espressione, ma soprattutto, con quel corpo ?
Lo sa, per noi maschietti vuole dire tanto: equivale a levarsi le mutande prima di un amplesso e sentirsi dire:

"MIO DIO!...E' gigantesco!"

E, mi scusi la confidenza, dott. Kurosawa,ma ,  siccome nessuna delle mie donne ha mai avuto per me la generosità di una tanto semplice esclamazione ( e considerato anche il fatto che quello che accomuna i lettori maschi di questo blog è che non ci sono le premesse perche' questo possa accadere ad alcuno di loro) ...beh, insomma, la volevo ringraziare.
Almeno, d'ora in poi, togliendo le mutande avro' il piacere di sentirmi dire:

"DIO MIO! ...facciamo un giro in moto?"


Cordiali saluti,
A lei e alla geisha di sua moglie.

Il Master del Blog

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Bossanova



Tornare a casa con un dispiacere nel cuore.
Non è normale.
Non lo è, tornare a casa con le ferite nel cuore, a cavallo tra il ventricolo destro e quello sinistro, e non sentirne il dolore.
Questa volta sembra proprio che tutto con lei stia per finire.
E se la vedeste, Dio!, se è bella!
E' cosi' dolce che mi viene voglia di dirvelo, che è così disperatamente dolce.
E tornare a casa da solo stasera mi ha lasciato stranito, vuoto.
Come se di me non ne tenessi che una carcassa di cartapesta, insensibile e leggera.
Ripetere i gesti automaticamente, senza l'ausilio della volontà, senza sentirne in fondo alcun dispiacere.
E quello che poi è più strano è questo dolore che non arriva, che sembra essere lontano a venire, questa sensazione fatta di niente.
E sarà forse perchè non mi viene da piagnucolare sui miei errori, solo perchè oggi non ho voglia, ancora una volta, di piangermi addosso, sarà per questo, che ne provo un sottile piacere.
Oggi finalmente mi sento che questa mia tristezza va vissuta ad arte, lontano dalle miserie di un animo afflitto e rattrappito.
Me la voglio sentire fino alle chiappe questa sensazione, rimbalzare dallo stomaco all'intestino, piegarsi sopra il pancreas ed il duodeno, aggrapparsi all'appendicite, avvolta ai polmoni, arenarsi alla trachea, per tenerla lontano dal cuore.
Ma, diamine!, se è bella!
Perchè il verde degli occhi e il biondo dei capelli mi liquefano il respiro, e la lentiggini hanno il sapore dolce delle ciliege.
Femmina nei seni e nei fianchi, nelle coscie morbide indorate dal sole.
E io che rimango qui a pensare alla panna e allo zucchero, mi faccio rabbia.
Perchè in fondo con lei sta per finire, sia quel che sia.
E più ci penso e più non sento niente.
Ma stasera comunque ho deciso.
Proverò a baciarla ancora, e al limite, se va male, faccio in modo che me lo dimentico subito.







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Le Mosche e la Merda.
("Scrivi scrivi scrivi scrivi scrivi...."No, non ce ne ho voglia, e tanto più che minchiate non ne escono fuori.)


Stasera per esempio, sotto la doccia, ho notato una piccola mosca minuscola passeggiarmi davanti al naso, sul muretto.
Proprio davanti ai miei occhi, camminava mansueta alla scoperta di un mondo che, fino a poco prima, aveva soltanto percepito dal suo ignobile stato di larva cieca.
Muoveva veloce le zampette, ma era tanto piccola che, per tutti gli sforzi che potesse fare, rimaneva sempre nello stesso punto, davanti al mio naso, sul muro della doccia di casa mia.
Come se avessi davanti un bebè, una creaturina che non sapeva nulla di questo pianeta e che cominciava in quel preciso istante a fare i primi passi, nel disperato tentativo di capire in quale fottuto posto dell'universo si trovasse.
E per quanto avesse tutte le sembianze di una mosca, a me pareva impossibile confonderla con quella categoria animale così odiosa, visceralmente attratta dalla merda.
Era un cucciolo, una gemma appena schiusa che muoveva i primi passi e non osava ancora volare.
Ed è in effetti impossibile riuscire a confondere le rozze forme di un adulto da quelle tenere, appena abbozzate di un giovane neonato, fosse per gli uomini, i leoni o le mosche.
Personalmente, non potrei mai fare male a un bambino, anzi, quelli mi hanno sempre stimolato un sentimento di protezione per me insospettabile; eppure io, onestamente, prenderei a schiaffi almeno una persona adulta su due, esattamente come schiaccerei , affogandole nella loro amata merda, tutte le mosche e le zanzare del creato, incurante del cataclisma che provocherei sull'ecosistema planetario.
Ma la mia moschina...
Me la guardo.
Me la riguardo.
Poi la guardo ancora.
E me la ri-ri-guardo
La osservo, e c'è prorpio tutto: le aline, le zampette, gli occhioni dolci che riflettono arcobaleni blu-smeraldini risplendere dai nervi ottici, una proboscidina in miniatura che finisce a ventosa per assaggiare il sapore amaro di questo nuovo misterioso mondo che è la mia doccia.
E poi ripenso immediatamente a tutte le persone adulte che voglio prendere a schiaffi.
Uno su due. Anzi facciamo pure due su tre.
E la domanda è 'perchè questa violenza?'.
E io, sotto il getto caldo della mia doccia a telefono, penso ad una risposta che conosco già.
Ma non la dico, perchè sono troppo concentrato sulla mia mosca-baby, a due palmi dal mio naso, a quattro palmi dalle mie pupille, messe a fuoco su di lei.
Quanto è piccola, MadonnaSanta!
Tiny little fly!
Una persona su due.
Chi?
Mhmmmm...se comincio a dirvelo non finisco più.
E la cosa più buffa è che comincerei fra tutti dai più simpatici, veramente, senza ironia.
Anzi, più è simpatica, divertente, estroversa, più la gente la vorrei prendere a schiaffi.
No, non parlo di grecia.
Dovunque: Milano, Copenaghen, Herklion, Via Meucci, Bovisio Masciago, Cascina Gobba...
La mia moschina intanto sbatte teneramente le ali, senza volare.
Che tenerezza, non ne avete una idea... le sta provando magari per la prima volta, come un bimbo che improvvisamente si rizza in piedi per camminare.
E io ripenso ai quattro ceffoni bene assestati.
Due adulti su tre.
E' una buona percentuale, direi, ma 'perche?'
Così, per scherzare, lo chiedo alla mia moschina, ad alta voce che magari mi risponde.
-"Perchè, bella moschina?"
-"Perchè sei uno stronzo!"

Chi ha parlato?

No. Non la moschina, ma un cazzo di grillo parlante che tengo nella testa da quando sono nato.
Due su tre, ma per primo prenderei a schiaffi il mio grillo parlante.
Comunque, si, era proprio la mia risposta segreta che non volevo confessare poco fa.
E qui a Creta, rinchiuso nella mia fortezza, ogni giorno a guardia del mio deserto dei Tartari, esteso dal Carso fino ad Herklion, ho anche avuto il tempo di meditare a lungo le mie convinzioni.

Guardo la moschina e penso che una nuova storia è cominciata.
La sua storia in questo mondo, cominciata nella doccia di casa mia.
La sua vita passa dalla potenza all'atto, alla crescita, alla vita adulta e poi quindi alla morte, passando indubbiamente per la merda.
E' una buona metafora umana, ce ne starebbe per un libro.

Intanto il vapore invade la stanza.
Sento ancora l'acqua calda battere sulla mia pelle, bollente come mi piace, a sentire persino i brividi lungo la schiena, rivitalizzarmi lo spirito ed il corpo.
Sarcastico, divertito dalla mia stupida metafora, sorrido.
Guardo ancora la moschina, davanti a me, e penso che la vita è in effetti l'azione dell'indescrivibile passaggio tra l'essere in potenza e il divenire reale.
Quindi impugno il telefono della doccia, scaldo ulteriormente l'acqua e contemporaneamente innalzo la pressione al massimo.
Poi, placido, sardonico, sorridente, scarico totalmente il getto d'acqua sulla moschina, che cade annegata sul piatto della doccia, un paio di giri di rotore prima di entrare nel buco, e poi la vedo sparire per sempre nel buco nero della fogna di Iraklio.

-"Scusa moschina. E' che, forse, c'avevi ragione a dire che sono uno stronzo." #

Voglia d'Amore

La magia della notte è che anche in questo sfintere del mondo, la notte resuscita sempre uno spicchio di luna.
E io, talvolta mi trovo a scrivere alle un quarto alla una ascoltando il canto di seduzione di Fetula, la gatta del vicino.
Talvolta Fetula, passa a trovarmi a casa, danzando sulle punte delle zampe, miagolando d'amore e malizia mentre cammina sul ballatoio.
La gatta è in calore .
Perennemente in calore, per dirla tutta, e i randagi qua attorno lo sanno bene, e le fanno la posta fra le macerie del cortile  nel vecchio ospedale sotto casa.
E i gatti di notte sono ombre intraviste contro il muro diroccato della vecchia clinica, alla luce gialla e debole di un lampione sporco di Malaviziou, il vicolo più buio dello sfintere del mondo.
A tutti gli effetti, casa mia.

Fetula canta di notte, e i randagi sotto in cortile, seduti o sdraiati ad ascoltarla.
Magari dopo aver passato il giorno a rovistare nella spazzatura, presi a calci dai bambini che giocano, magari dopo aver inutilmente braccato un dei topi della città che a volte, sono più grossi di loro, vengono comunque in tanti qui la sera ad ammirarla ed a sentirla cantare.
Perchè Fetula è bella, sapete, tutta bianca e snella, gli occhi verdi ed un'orecchio bruno:
la più bella gatta di Iraklio.

....

Una di queste sere me la faccio.

 

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Paura

"Mentre scrivo, ancora non mi è passata.
Solo ascolto il suono metallico di una veneziana abbassata vibrare colpi sugli infissi di alluminio delle mie finestre, la sento oscillare sospinta dal vento che ci appoggia il peso dell'aria.
Ne scaturisce un concerto sconnesso di suoni bastardi fra lamiere e corde e alluminio, odioso ma pure consolatorio in questo silenzio della mia stanza , ad Iraklio.
Non mi fa sentire solo, il rumore, anzi forse più mi sta distraendo dai miei sentimenti di ieri notte, dai pensieri oscuri dilaganti come un'infezione.
Penso, e capisco che mi piace guardare la finestra di casa mia quando la veneziana è abbassata e fuori splende il sole accecante di quest'isola.
Lo intravedo solo dalle fessure che risplendono di luce, e capisco quanto il sole sia forte là fuori.
E, come dicevo, ancora non mi è passata, ancora la sento in basso allo stomaco la sensazione di ieri sera, per quanto vada un poco meglio.
La Paura che ho sentito, che non ricordo di averla sentita prima.
La paura è un sentimento maledetto che attraversa di rado le coscienze dei vivi, e ne fa sentire il ghiaccio sull' epidermide che stilla incontrollabilmente sudore, e blocca il respiro nello stomaco.
Un sentimento forte, è forse più l'anima in fibrillazione che sottrae il comando all'intelletto, che altro non può fare se non testimoniare il suo stesso stato di impotenza.
E mentre scrivo, un poco, mi viene quasi da piangere per la paura.
E io vorrei, veramente, raccontare tutto, ma forse mi fa troppo male, perchè me ne risveglia il germe dal profondo della pancia e dei polmoni.
Perchè per scampare a questo germe ne devo venire fuori il più presto possibile, e a quel punto estrarlo dal mio corpo e guradarlo bene negli occhi, perchè, se mi ha fatto male, merita comunque il mio rispetto."


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Il Filo di Arianna
(Io  ve lo dico prima: prendetevi una mezz'oretta)

 

Un insolito incontro.

Il Bafometto rideva avvolgendosi in lunghe spire con la sua coda appuntita, scoreggiando aliti di zolfo e fiamme dal culo, agitando le ali da pipistrello fra le anime della geennah.
Le fauci bavose gocciolavano sangue umano e sterco di capra nel digrignare i canini appuntiti del suo ghigno bestiale.
E l'eco della risata impazziva i dannati.
Nel settimo girone dell'inferno i diavoli e le satanasse festeggiavano con un orgia il malocchio riuscito, il successo di Azazello, che sotto lo pseudonimo di Manolis da Chania, regalava ad un uomo i sassi incastonati nel sentiero della città infernale di Dite.
Ma questo è successo dopo.
Prima vi è solo la storia di un giovane italiano, emigrante sull'isola che fu del Re Minosse, e che diede i natali alla fame sanguinaria del Minotauro.
Ed è la sua, quella del giovane italiano, una storia che conoscete, che avete seguito lungo la strada percorsa insieme attraverso i portali telematici di internet, leggendo in lettere i suoi progetti e le sue sensazioni, codificando i bit in pagine di un Blog, che svela la trama della sua avventura.
Niente altro che un gioco di specchi dove di riflesso, conoscerete il volto del demone Azazello dalla minuta descrizione che vi darò se procederete con coraggio la lettura di queste pagine virtuali: sono le pagine che contengono la cronaca di un incontro a cavallo fra la dimensione terrena ed il regno delle anime perdute. Consegnata agli uomini da chi l'ha vissuta in prima persona.


"Ora che è finita, mi sento al sicuro.
Eppure persistono i brividi sulla pelle a ripercorrere con la memoria la casualità di quell'incontro, in una sera di domenica alla metà di maggio.
So bene quanto possa suonare assurdo il resoconto di questa vicenda ad occhi esterni.
Non ditelo a me che la scienza la faccio di mestiere.
Ma quando la percezione della verità risale dalle chiappe, anzichè dal cervello, allora lasciate che mi scrolli di dosso tutte le occhiate di scetticismo degli scientisti e degli illuministi, lasciatemi ridere di questo buon senso che ci hanno insegnato a forza, e soprattutto, talvolta, lasciatemi solo a riflettere per i fatti miei.
E lasciate, per favore, che ancora mentre scrivo, interrompa la battitura per stringere il corno rosso con la mano destra, ed i testicoli con la sinistra.
Perchè il maloccchio, è una cosa seria, sapete?
No che non lo sapete, ma ora ve lo dico io.
Stavo percorrendo il più bel periodo della mia vita.
Me lo ripetevo nella mente quando contemporaneamente guidavo la mia moto in mezzo ai tornanti della strada alle spalle della catena dei Lefka Ori fra le curve a picco sul canyon della gola di Torolìa.
Provenivo dal paradiso di Elafonissi, dopo la notte passata all'ombra della foresta di cedri di hedrodassos, ad ammirare la superfice di vetro di un mare vergine dai fondali farinosi di sabbia bianca.
Ad Heraklion città mi attendevano occhi verdi come il prato, e io giust'appena mi ricordavo che poco prima passavo la notte appartato con la luna, mentre adesso per stelle contavo le lentiggini di quest'altra creatura.
E guidavo sporco di sale, pensando che quella che allora era la mia vita, era proprio come in effetti me la immaginavo nei sogni migliori, senza neanche l'ansia di un risveglio inopportuno.
Ricordo che ero felice.
E pensavo a divorare la strada, come sentivo che dovevo divorare la vita come fossi una fiera.
Ma la strada da correre era lunga, mancavano ancora 150 km per rivedere i suoi occhi verdi e allora pensavo che mi ci voleva una pausa lungo la strada.
Contemporaneamente facevo ingresso in un villaggio che conoscevo bene, quattro case in croce che avevo attraversato almeno 50 volte, di cui avrei potuto disegnare la mappa ad occhi chiusi.
Tutti gli edifici si affacciavano sull'incrocio delle due strade principali: a destra per Chanià, a sinistra per Elafonissi.
Solo una piazzetta sorgeva a lato dell'incrocio, una piccola terrazzina che si intrufolava nel baratro di un burrone, nella quale si ergeva un banale monumento ai caduti , una ringhiera e due panchine.
Anche i vecchi seduti sui tavolini prospicienti al bar sembravano far parte dell'architettura cittadina.
Sempre gli stessi , sempre seduti nelle stesse sedie  a bere un caffè infinito, che avevano cominciato venticinque anni fa.
Potevo ripassarci a distanza di settimane e scattare due fototgrafie, e concludere che senza dubbio era sempre  lo stesso scatto.
Lo stesso panorama, le stesse persone con il vuoto lungo l'espressione.
Io ero stanco come un cane e necessitavo di rifocillarmi prima di affrontare la lunga corsa sulla National Road per Heraklion,e allora mi sono fermato, distrattamente, presso la drogheria del paese a comprare del succo d'arancia per ripristinare le vitamine per il viaggio verso casa.
Ricordo ogni particolare di quel giorno, come fosse un'ora fa.
Ho parcheggiato la moto a fianco della piazzetta, appoggiato il casco sul manubrio e con lentezza scendevo e mi dirigevo all'interno del negozio.
Il greco che vendeva le bibite era un uomo grosso e ruvido che sembrava curarsi poco di me:
con indifferenza pagavo il mio succo d'arancia, uscivo dal negozio e mi sedevo su una delle due panchine della piazzetta deserta, sorseggiando dal beccuccio del tetrapak.
Guardavo gli alberi a ridosso del burrone, bevendo e fumando, quando d'istinto mi girai e vidi quell'uomo che, stranamente, non avevo notato prima, seduto sulla panchina di fianco la mia, che mi fissava da dietro gli occhiali scuri.
Mi sentii immediatamente a disagio.
Era decisamente curioso: un anziano dai capelli d'argento ricci e lunghi fino alle spalle, non molto alto, quasi tarchiato, vestito come non si addice ad un uomo della sua età e ,spavaldo, incrociava le gambe mentre sedeva.
Aveva degli stivali addosso, nonostante la calura afosa della giornata, jeans pesanti ed una camicia -anch'essa di jeans- che gli copriva la cintura e una grossa pancia sporgente.
Sopra a tutto mi colpì quel suo gilet in pelle nera, invernale e pesante, su cui ricadeva la barba lunga ma ben tenuta, sicuramente coltivata da molti anni.
E quegli occhiali scurissimi, grandi, che non lasciavano intravedere al di sotto le pupille, occhiali dal disegno giovanile e accattivante, decisamente troppo giovanili per un uomo della sua età.
Ma che mi fissava lo capivo e soprattutto, non so come, lo sentivo sulla pelle e sulla nuca quando mi giravo per evitare il suo sguardo.
Io sedevo silenzioso e lui guardava.
Il disagio nel sentire la pressione del suo sguardo mi fece scegliere di cambiare di posto, piuttosto che sentirmi fissato a quel modo, quindi mi alzai e procedetti verso le radici di un grande albero che sorgeva lungo l'incrocio, per sedermivi accanto.
Contemporaneamente quello strano personaggio si alzava dirigendosi nella direzione opposta: ci incrociammo passando uno di fianco all'altro scrutandoci attentamente a vicenda.
Mentre io ostentavo strafottenza e indifferenza, lui non nascondeva la sua curosità nei miei confronti.
Nel momento in cui passammo uno di fianco all'altro, sollevò una mano con l'indice puntato verso di me e contemporaneamente suonò uno schiocco attraverso la bocca:"Sloc!".
Io, fra l'incredulo e il divertito, continuavo a camminare senza prestargli troppa attenzione e pensavo:" Và che pirla..."

Talvolta restiamo ammaliati dal modo di fare, dalla self-security di certi personaggi carismatici.
Quest'uomo, di carisma, ne aveva da vendere, si vedeva.
Ma al momento mi sentivo altrettanto carismatico e morbosamente concentrato sul mio stato di momentanea contentezza.
Seduto sulle grandi radici dell'albero, mi dimenticai di lui, e mi misi a pensare cha avrei voluto avere dei gingilli, qualche cosa di simbolico che mi potesse richiamare sempre alla memoria, la magia di quel periodo.
E fu proprio allora che notai dall'altra parte dell'incrocio una piccola bottega che incredibilmente non ricordavo in quel gruppuscolo di case che conoscevo a menadito.
Era un edificio di un solo piano con una veranda coperta al suo ingresso dove il padrone aveva appeso all'esterno alcune straordinarie sculture in pietra e legno dalle forme sensazionali, intriganti, per quanto incomprensibili.
Erano spesso volti umani e trasfigurazioni, figure che si fondevano l'una nell'altra senza cesure, corpi nudi che emergevano dalla roccia e da tronchi di alberi.
L'intonaco delle pareti esterne era decisamente vecchio e logoro ma altrettanto suggestivo:
sullo sfondo viola della pittura si diffondevano uniformememnte macchie bianche e gialle di scrostature del muro nudo, e un solo cartello stava sullo stipite dell'ingresso, in legno grezzo dove erano state incise ad arte tre lettere ed un numero che avevo studiato per anni.
Sul cartello era incisa la formula dell'Energia e della massa secondo Einstein.

Sorrisi. E pensai che fosse una curiosa coincidenza del fato, che io, in fin dei conti un Fisico, non avessi mai notato quella epigrafe sacra della scienza che dava il nominativo ad un laboratorio di arte.
E insomma, a farla breve, sentii una curiosità dettata dalla congiuntura di segni del destino che mi richiamava a visitare quel posto.
Perchè io, quel giorno la sentivo fino al buco del culo una certa predeterminazione.

 

La Bottega del Rakì

Quando varcai con il primo passo la soglia della bottega, i diavoli giù all'inferno si agitavano come mosche per l'eccitazione vomitando sangue bollente e bile sulle anime disperate, strappando loro brandelli di carne, unghie e capelli per la contentezza.
I centauri correvano per le lande infuocate trascinando per terra gli spiriti addolorati e talvolta si fermavano per calpestarne le carni con gli zoccoli e per pisciarvi sopra fetida urina, sul volto e sulle ferite.
Nel frattempo io mi aggiravo, decisamente affascinato, fra sculture e amuleti in pietra e legno, dalle forme ambigue.
Un tronco di un albero era stato intagliato in modo che a seconda della prospettiva vi si potessero riconoscere due volti differenti emergere quasi abbozzati dal legno, e l'espressioni di quelle facce richiamvano alla mia mente commozione e paura. Sotto la finestra, invece, da un blocco di pietra rosa si libravano animali fantastici fusi nella roccia, o meglio imprigionati ma vivi, come se venissero bloccati nell'atto di scappare dall'incantesimo fatale della Medusa.
Chi aveva scolpito quelle cose non dormiva sonni tranquilli, pensai, seppur ammirassi la fattura e l'originalità di quelle creazioni.
Tutta la bottega era in realtà un'opera: i tappeti sul pavimento e i tendaggi colorati, le sculture appese ciondolanti dal soffitto sembravano non aver bisogno di fili per fluttuare nell'aria, gli amuleti ricavati dai sassi dell'isola che tempestavano le pareti violette arredavano sapientemente uno spazio in cui non comparivano mobili, ma solo personaggi usciti dalle opere di Salvador Dalì e da tutto l'espressionismo, in pietra e legno animati dalle mani abili di un Maestro.
Che strano, imbattersi in un posto del genere proprio quando, pochi minuti prima, fantasticavo di gingilli portafortuna.
Senza che lo cercassi mi trovavo esattamente nel luogo dove gli amuleti ed i monili sembravano uscire dal cuore della terra affinchè un uomo li tramutasse in opere d'arte.
E io non so bene come e quando quell'uomo entrò nella stanza, ma da dietro a una tenda lo vidi sbucare fuori silenzioso, ancora con i suoi nerissimi occhiali da sole, l'"artista", il vecchio dalla criniera argentea che si rivolse a me in greco.
Con mia sorpresa, riconobbi il vecchio di prima.
Un saluto cortese, e si levò lentamente quegli occhiali.
In quel preciso momento, Beemoth, il demone-gatto degli inferi, scelse a caso un anima nel girone degli invidiosi e ne strappava, divorandoli, gli occhi con le zanne e con gli artigli.

Finalmente quell'uomo mi svelò il suo sguardo.
Ma che espressione hanno gli occhi di un demonio ?
Pensateci.
Forse le pupille saranno quadrate come quelle dei caproni, circondati da iridi gialle e gonfie come braci sul punto di esplodere, solcate da capillari rossi e corrucciate da sopracciglia folte  dense di peli che indicano il sentimento della sua violenza.
Forse le palpebre da coccodrillo si serrano lateralmente e le ciglia nascondono vermi avviluppati come alghe marine.
Forse.
Ma gli occhi di questo demonio qui, a guardarli bene, erano buoni, e ispiravano certamente fiducia.
Occhi grandi e scuri esattamente come i miei, castani e innocenti. Portava sopracciglia spesse, è vero, ma finemente disegnate se rapportate a quei suoi grandi occhi anziani, che facevano sì che in quello sguardo si raccogliesse l'esperienza di un uomo avveduto con la vitalità di un giovane a caccia di emozioni.
Sinceramente amichevole, si scrollava di dosso con facilità qualsiasi accusa che lo volesse ruffiano, accogliendomi con garbata gentilezza e ospitalità contadina, porgendomi un bicchiere di rakì casereccio come segno di benvenuto nel suo piccolo e fantastico regno.
Accennai un sorriso, e appoggiai le labbra al bicchiere; poi lentamente bevvi fissando il mio curioso ospite, e non appena ebbi ingoiata l'ultima goccia, mi offrì una delle sue sigarette greche senza filtro.
Ne accettai una.
Parlammo per due minuti di tabacco e distillati, fino a quando la conversazione divenne troppo complicata per la mia conoscenze di lingua locale.
E iniziammo a parlare inglese.

Quest'uomo parlava inglese!
Un vecchio che per sua stessa confessione si era sempre occupato di capre e olivi nella sua vita, che non aveva studiato, che viveva in un villaggio sconosciuto della Creta agricola, e che solo tre anni prima decise di cambiar vita per dedicarsi alla scultura e a far perline...parlava inglese.
Non avrebbe senso, a meno che quell'uomo potesse parlare tutte le lingue della terra perchè i figli di Satana in fondo conoscono il mondo e i suoi segreti, meglio di chiunque altro.
Insomma, instaurammo complicità, e prima di sera, quell'uomo ed io divenimmo amici.

Amico di un diavolo.
Satana in persona urlò la sua gioia, e l'inferno tutto tremò.
La montagna del purgatorio sobbalzò ed anche i cherubini si intimidirono al boato, la puttana Taide venne sollevata dalla merda affinchè le sue carni soddisfacessero le voglie del cane Cerbero, e lo Stige allagava le pianure degli ignavi, perchè il Malocchio era prossimo a compiersi.

 


Se sei bello ti tirano le pietre.

La chiacchierata era stata lunga e piacevole.
In qualche modo quel vecchio mi leggeva nella testa, e la tentazione di aprirgli la mia mente confessandogli l'elenco delle mie paure e dei miei progetti personali, mi vinse, e srotolai felicemente la lingua per almeno un'ora.
Rakì e scultura, un pomeriggio a raccontarci le nostre storie passate e pochi aneddoti divertenti, a fumare e brindare all'ombra della veranda di un povero simpatico Diavolo.
Inutile dire che mi offrii di comprargli uno di quei suoi monili appesi alle pareti, ma il vecchio fece molto di più.
Mi mostrò un cesto in vimini colmo di sassi che erano stati intagliati e scolpiti, che portavano disegni originalissimi personalmente scolpiti da lui.
Mi chiese di sceglierne uno.
E d'improvviso, davanti ai miei occhi si apprestò a generare dalle sue mani una nuovissima collana  fatta appositamente per me, sull'onda di una ispirazione germogliata dal nostro incontro.
Eccola: era un gioiello.
La indossai immediatamente, e cercai di pagarlo: invece di ricevere il denaro, quell'uomo iniziò una lunga parbola di discorsi , e mentre parlava giocava con le pietre e con il cuoio, aggiunse lamine di metallo e perline di legno, e in men che non si dica mi creò da quelle sue grosse mani da contadino, un nuovissimo e stupendo portachiavi per la moto.
"E' un regalo.", aggiunse.
Io, sinceramente felice, lo accettai, ma ancora mi fermò nell'istante in cui tentavo di pagarlo.
Sparì un secondo dietro la tenda e tornò con un cesto di pietre cristalline, quarzi, e ametiste. Quella cesta brillava come se contenesse stelle cadenti.
Scelse una pietra dal mucchio, e disse:
-"Da qui nessuno se ne va, senza una di queste: tienila sempre con te, e ti porterà fortuna."

Vedete, qui si ferma il tempo.
Per una persona come me che si sente gravemente minacciata dalla presenza di un gatto nero per la strada, credere di aver ottenuto un pietra portafortuna da una specie di santone che le pietre le conosceva bene come quel vecchio, era come avere vinto la lotteria ed il totocalcio nella stessa giornata.
Entusiasta ammirai il bellissimo quarzo rosa di cui mi faceva dono, puro, trasparente e appuntito come una specie di kriptonite senza il carattere volgare da bigiotteria, ringraziai e nascosi in tasca il minerale.
Finalmente il vecchio si lasciò pagare, e se devo essere sincero, il prezzo fu sospettosamente politico: diciamo, meno di una salamella alla festa dell'unita di Modena.
A quel punto, lo salutai caldamente, salii in sella alla moto, e, non prima di aver ammirato un secondo allo specchietto i miei preziosissimi monili, partii alla volta di Heraklion, bruciando con le ruote l'asfalto.

 


L'enigma della Sfiga

  
Ma arriviamo finalmente al nocciolo di questa storia.
La notte stessa fui preda di un incubo curioso: sognai il vecchio, Manolis, ospitarmi ancora nella sua bottega come il giorno prima a bere rakì e fumare sigarette, ma la sua espressione, Diavolo!, non era decisamente più la stessa.
Rideva quella notte, Manolis, di fronte a me imbarazzato che non sapevo che dire, rideva sguaiatamente come un demonio, con una risata perfida come perfida era improvvisamente divenuta l'espressione dei suoi occhi.
La bottega era sempre la stessa, ma di notte, la luce di un camino acceso che la illuminava, la rendeva tetra, colma di vibrazioni spaventose per l'animo tanto da farmela sentire una prigione, e il vecchio, il mio carceriere.
Sudavo tanto di fianco alle braci del camino, ed ogni tentativo di allontanarmi sembrava totalmente inutile: soffocavo, l'aria era pesante, priva di ossigeno, con manolis che rideva sguaitamente come un cane, come una iena bastarda, ed io incollato alla sedia che non respiravo, incredulo, allibito e sudato per lo sfinimento.
Nel momento in cui la respirazione si interruppe nel sonno, quasi per reazione volontaria mi destai.
Sentii un bruciore al collo: toccai la pietra che ciondolava dalla mia nuova collana e la trovai molto calda e non capii il perchè. Andai allo specchio la guardai e mi riempii subito di vanità e dimenticai il sonno agitato di prima e tutte le diavolerie...
  
Che cosa accadde una volta aver ricevuto dal diavolo Azazello, al secolo Manolis da Chania, i sassi maledetti della città infernale?
Quali sortilegi, quali apparizioni, quali arcani malefici nascondevano quegli amuleti maledetti?
Sapete che cosa?
Niente,-ovviamente- non accadde niente.
Non erano altro che comunissime pietre.
Semplicemente da quel giorno accadde che la mia vita prese improvvisamente e colpevolmente il sapore della normalità, della routine maledetta che tutti gli uomini conoscono, l'inerzia di una esistenza privata dell'entusiasmo che fino a quel punto mi aveva rivitalizzato lo spirito.
Improvvisamente gli scenari naturali, avvizzirono ai miei occhi la loro bellezza che fino a poco prima era in grado di commuovermi e di ispirarmi alla tastiera.
Venni infettato dal morbo e dalla vacuità che affligge gli uomini stanchi, e che procedono nella vita in attesa che qualcosa li desti da quel coma apparente.
Perchè era proprio da questa malattia che fuggivo allontanandomi dall'Italia, dalle continue ricadute che ciclicamente mi colpivano, mentre stupidamente imputavo le colpe ad una città natale inospitale, nonostante ben sapessi che i più gravi malanni nascono sempre dall'interno (e non dall'inferno).
Ed è per questo motivo, credetemi, che d'incanto cominciai ad accusare l'esistenza di sfighe meschine, di congiunture sfortunate che si incaponivano contro di me, di una improvvisa solitudine affettiva che mi affliggeva dopo aver speso un periodo fortunato di numerose relazioni inaspettate con il sesso opposto.

Sembra quasi che vi abbia preso in giro.
Vi avevo promesso malocchi e fatture, streghe e incantesimi, e invece pare che tutto fosse una banale malattia dello spirito, una volgare banalità della vita.
Ma forse c'è di più.
Sì perchè in effetti, volendo essere veritieri ed abbandonando le morali, i gatti neri che incrociavano la mia strada in quel periodo si moltiplicarono, il sentimento di essere nel mirino di un fato avverso era più che reale.
Non parlo a vanvera, lasciatemi spiegare.
Quando tornai dall'incontro con quell'uomo, sempre che di uomo si trattasse, ricevetti subito una telefonata.
A quell'epoca frequentavo una dolcissima bellezza dell'est europa dagli occhi verdi e dalle chiome biondissime.
Mi informò che il suo fidanzato, un muscolosissimo giocatore di hockey cornuto come Satana, si stava recando a trovarla proprio in quei giorni.....Inutile dire che dovetti sostenere in stoico silenzio le crisi di gelosia, ed è inutile ribadire che dopo allora nulla fu come prima e in conclusione ci perdemmo di vista.
E ancora, la moto diede per la prima volta segni di cedimento e i conti del meccanico, oltre che puzzare di Zolfo e benzina, raggiunsero diabolicamente cifre illeggibili,  il lavoro toccò il punto più basso del mio soggiorno cretese, sebbene il tracollo professionale si fosse manifestato da tempo.
Ma quello che tuttora non riesco ad accettare fu la drammatica fine delle mie fortune amorose: ormai abituato ad una vita sentimentale movimentata e divertente , fui testimone di un cambio di rotta devastante: le donne mi stavano attentamente alla larga, non ebbi più occasione di frequentare le dolci bellezze che da tutto il mondo provenivano a popolare l'isola.
Ebbi a temere di essere forse affetto da Alitosi Permanens Merdorae, o che il dopobarba avesse assunto l'aroma di Urina Gattorum o che le ascelle ospitassero colonie batteriche di stafilocochi scoreggiferi....
Mi controllavo allo specchio dieci volte in una giornata per scoprire se per caso avessi mazzi di basilico incastrati a cavallo degli incisivi, e incominciai a vestire di bianco per nascondere eventuali depositi geologici di forfora sulle mie spalle.
Niente, presto mi arresi alla nuova condizione non-scelta di solitudine e fu allora che realizzai ciò che scrissi poche righe sopra, cioè che le fortune sono una conseguenza dell'attività dello spirito.
Perciò decisi di scrollarmi di dosso, oltre che la forfora, l'inerzia penosa che mi stava affliggendo, quindi saltai a cavallo della moto e partii alla ricerca di nuove frontiere di umore per la salvezza del mio animo, in fuga..
Circa dieci metri dopo, ebbi il mio primo incidente, e la storia penosa di una infezione dilagante che mi costrinse a letto per un mese.

Se due indizi fanno una prova.....

Ora, il mosaico si faceva più chiaro e lasciava intravedere due corna caprine che neanche il giocatore di hockey.... presi una settimana di convalescenza in Italia, in cui ebbi modo di maturare le mie convinzioni circa quanto stava avvenendo, e finalmente subodorai la puzza di zolfo.
Tornato a Creta, la prima cosa che feci fu raccogliere le pietre e dirigermi verso i bastioni a picco sul mare.
Le tenevo in mano quelle pietre, pronto a scaraventarle in mare, quando, ammirandone la bellezza,  si insinuò in me il dubbio che non fossero maledette, e che fosse un delitto buttarle invece che tenerle con me tutta la vita.
Allora chiusi gli occhi, e prima che questo pensiero potesse prendere piede, prima che mi vincesse o che mi convincesse, le scaraventai in mare, il più lontano possibile, soprattutto lontano dalla mia vita.

"Vade Retro, Manolis!.....Anzi, vaffanculo!"

 

Epilogo?

Quindi?
Avevo ragione? Ero in effetti vittima dei malocchi di un demone?
Onestamente, non potrei giurarlo.
Quello che vi posso dire è che già pochi giorni dopo essermi sbarazzato di quelle pietre misteriose riuscii finalmente a concludere qualcosa nel lavoro e che finalmente la moto tornava a ruggire come una fiera.
Ma questo è il meno.
Inaspettatamente, un giorno come tanti, mentre camminavo per i corridoi dell'istituto, mi sentii chiamare da una voce femminile zuccherosa, ed accadde che in meno di due giorni, quella stessa voce zuccherosa stava sussurandomi nell'orecchio parole d'amore sotto le lenzuola della mia camera da letto.
Alla faccia di Azazello, il Malocchio era finito.

Ora, lascio che siate voi a trarre la morale da questa storia.
Ognuno nella propria vita è libero di scegliere, di credere alle fattucchiere ed ai maghi, oppure alla ragionevolezza della scienza.
Io non giudicherò, vi lascio il privilegio di ridere di questa favola superstiziosa, delle credenze medievali e dell'occultismo di cui è intrisa, vi lascio l'opportunità di schernire le orde di indemoniati che nei gironi infernali covano rancore verso i vivi e sognano l'opportunità di una prossima vendetta .... a vostro rischio, però ...
Fate quello che volete.
Io intanto me ne starò qui a sentire i raggi cocenti del sole sull'epidermide, e il vento caldo accarezzarmi le orecchie ed i capelli: me ne sto sdraiato sulle spiaggie dell'isola a prendere pugni di sabbia nel palmo della mano e sentirne lo scorrere monotono fra i polpastrelli mentre cadono i granelli di arena.
Fa caldo qui, oggi, oserei dire, un caldo infernale.
Allora mi sedrò all'ombra di un faggio, davanti ad un tavolino a bere il mio caffè lentamente, a guardare dal ciglio della strada gli stranieri a cavallo delle loro motociclette che sfrecciano in giro per l'isola a caccia di souvenir portafortuna.
Sì, me ne resto qui con il vuoto lungo l'espressione, per un pò, a far passare le perline di un koboloi in mezzo alle dita della mia mano, una a una, prima in avanti e poi indietro e lasciare che con un colpo del polso si arrotoli tutto intorno all'indice.
Siedo e guardo il paesaggio, identico a se stesso da migliaia di anni, vergine, bellissimo.
Non ho bisogno d'altro.
Non ho la fretta degli europei, non ho la smania ansiosa di rincorrere una vita frenetica costellata di eventi che dimenticherò presto.

Io invece mi ricorderò di questo posto, lo giuro.
Ora però, è tempo di andare a casa."

 



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E' che talvolta, i sentimenti, me li sfilo insieme ai pantaloni.


Vi parlo di un'altra ragazza, l'ultima giù ad iraklio, e chissenefrega se non era amore.
Era solo carne contro carne, e vanità.
Mi piaceva il celeste e il rosso, ovvero l'iride e i capelli, e la neve della sua carnagione che illuminava di notte l'ombra scura di me sopra di lei.
Non è che ci conoscessimo tanto e in fondo non ci siamo neanche voluti bene.
Ma ora che le notti le passo da solo, ho come l'impressione che mi manchi, e si fa strada l'idea che forse un poco di cuore io ce l'avevo anche messo.
Lo credo solo di notte, però.
E chissà com'è che al mattino, quando entra il sole nella mia stanza, cambio sempre idea.
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Milano Locomotiva d'Italia

Milano è una città di cani spaventati.
Mi ha accolto con una di quelle giornate di sole che preannunciano l'imminenza dell'autunno, e puntuale, l'autunno è arrivato il giorno dopo carico di acque dal cielo e nubi basse a coprire l'orizzonte.
E' una città di imprenditori brianzoli e operai terroni, di arabi metropolitani e di dragoni cinesi, di manager cattolici con il pallino del milan e di famiglie unite dall'amore e dal rancore.
Una città che produce , che lavora e che piange di nascosto in casa e che simula poi sorrisi nei bar del centro.
Una città in cui la moneta ha un valore aggiunto, sociale e psicologico, karmico, vorrei dire, e dove la pioggia penetra fra i vestiti fino a bagnare l'animo.
E' la sola città british in territorio italiano -dal punto di vista del clima , dico- ed è onestamente difficile amarla.
Io, infatti non la amo.
Ma mentre passeggiavo in bicicletta, stamattina, fra le stille di una pioggierellina sottile e rada che cadeva giù dal pallore del cielo, sono passato in uno di quegli angoli della città che conservano un significato imprigionato nell'intonaco dei muri esterni e fra le acque del canale della Martesana.
E sebbene non avesse nulla di eccezionale, per chi sa ascoltare i paesaggi, era comunque un dialogare personale con quel luogo, certamente nostalgico, di una vecchiezza bagnata e per questo fortemente umano.
Insomma, forse posso parlare con i luoghi anche qui, non soltanto con le terre assolate di Creta e con gli azzurri e i verdi del mare... ma certo qui, ho bisogno di un cappotto, e di un ombrello nuovo perchè il mio è bucato. #
(dis)ORDINE Q: Una teoria fra Bar e Scienza che fu una promessa.
(Questo Post non è pubblico, quindi non va letto, a meno che non siate a Minneapolis.... sennò non ci capite -comunque- una sega.)


L'esperienza di un uomo si misura dall'età?
Può darsi.
Prima forse andrebbe definito universalmente il concetto di esperienza.
Vedete, da quando mi trovo su questo pianeta sono venuto a contatto con un infinità di individui che stento a recuperare fra le pieghe della memoria, "personalità interessanti" che non mi hanno risvegliato alcun interesse.
Sembra a me che tutti gli sforzi che si facciano per emergere da una banalità consumata, dall'anonimato diffuso della folla delle città, non possano sortire in realtà alcun effetto.
Scusatemi la mancanza di chiarezza, le frasi sibilline, ma sto svincolando un'impressione ancora fosca.
Sto tentando di svelarmi i meccanismi magnetici che si azionano nel cervello quando due persone si riconoscono senza essersi mai visti prima e si fidano l'uno dell'altro.
Perchè sarebbe bello affidare questa scienza alla psicologia o alla chimica, ma forse è il caso di non prenderci troppo per il naso.
Magia.
Succede perchè è magico.
Non prendetemi per matto, sono in fin dei conti un proto-scienziato.
Non prendetemi per romantico, chi ne avuto esperienza sa bene quanto sia materialista, e poi, in fin dei conti, non parlo solo di rapporti di coppia.
Parlo di tutte quelle rare complicità inconsapevoli che sono preesistenti e che si scoprono per pura casualità negli infiniti incontri di una vita.
E parlo soprattutto di un livello di interazione estraneo alla dimensione materiale, ma dannatamente reale nello spazio delle nostre scelte.
Che cosa significa?
Chi è arrivato a leggere fino a questo punto crederà probabilmente che sto soltanto seguendo un delirio stralunato.
Ma non immagina che da ora in avanti si va solo a peggiorare.

E' una questione di onde, un garbuglio fisico.
Ma forse, prima di tutto, è il caso di mettere un poco di ordine...
....un ordine Quantistico....

E' la rivoluzione del '900, la Meccanica Quantistica, a sorprendere per prima il mondo al sussurrare di pochi geni come Einstein e Bohr, che dicevano che i corpi microscopici si comportano secondo le predizioni di determinate funzioni d'onda matematiche fisicamente inesistenti.
Pur non esistendo, però, tali onde sono concrete perchè ne influenzano il comportamento e le interazioni con la materia, e quindi anche il mondo Reale.
Vorrei convincervirvi per assurdo, o meglio per assurdità, che la telepatia dei sentimenti umani viaggia sulle stesse onde complesse.

Immaginate, ragazzi, immaginate spazi Complessi in dimensioni parallele.
MetaFisica.
In tali spazi matematici si diffondono onde telepatiche che appartengono ad ogni singola particella dell'universo, che danzano e interferiscono e volteggiano negli spazi geometrici, si sommano e annichiliscono, comunicano a distanza in infinite dimensioni... in qualche modo fanno pure l'amore.
Ma non esistono.
Capito?
Non esistono!
Non le puoi vedere, ne toccare, ne sentire.
Non esistono.
Eppure succede che ogni singola particella materiale obbedirà soltanto alla sua onda inesistente.
E questo, vi assicuro, è scienza.
...
boh?!?, che volete che vi dica.
Pare che sia tutto vero.
Allora, niente di più esauriente può esistere per descrivere il caos del cervello umano: gli umori, le simpatie e ogni altra scelta cerebrale non deriva che dal vortice di incontri dei miliardi di trasmissioni telepatiche infinitodimensionali che rimbalzano da ogni particella del nostro cervello coinvolta con le innumerevoli altre di questo nostro universo.
Ma tutto questo non esiste.
Ma saranno gli stati quantistici che precipitano a ricreare nella mente deja vu' di vite precedenti e memorie di un passato non vissuto, saranno numeri quantici inaspettati a portervi all'esclusione di nuove vie nella vostra vita, e saranno le interferenze e gli entanglement a guidarvi -o meglio, a perdervi- ancora una volta nell'amore.
Perchè niente fino ad ora si è mai avvicinato di più alla realtà dei sentimenti che l'universo immateriale dove viaggiano le onde inesistenti.

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Perasmeno ke mellontiko

"Den thelo tipota,
Den thimame tipota,
Eime Eleutero" (Nikos Kasantzakis)

Ed eccomi di ritorno nella mia strettissima e gigante Milano, all'ombra del tetto della mia mansarda a farmi domande sui miei passati prossimi e remoti.
Che cosa ho trovato giù a Creta in tanto tempo, quali domande, in fondo, fra quelle che mi assillavano alla vigilia della partenza, hanno trovato risposta ?
Così , su due piedi, forse non saprei dire.
Beh, certo, di donne, quelle sì, le ho trovate...Ho accarezzato coscie e seni di femmine straniere, dai colori diversi, e la loro pelle di panna e miele.
Il biondo e il verde, il rosso e l'azzurro, il bianco e il nero, e sfumature.
Ho viaggiato ed esplorato l'isola in lungo e in largo: DODICIMILA! Dodicimila numerini sul contachilometri , di spiaggie e sterrati e montagne, di capre maledette in mezzo alla strada, di canyon e di palmeti, di paradisi lagunari e vento, di cadute in moto sull'asfalto sdruccievole, di infezioni dolorose e di litri di vino scolati con amici improvvisati, di mangiate e di sigarette fumate all'aperto, di cieli immensi e sconfinati, di paesaggi dipinti sull'aria, di strade di campagna, di angeli, di diavoli, di gatti neri che mi attraversano la carreggiata, di delusioni, errori, e piaceri, soddisfazioni e illusioni, di limiti e di caparbietà, di incomprensioni e di casi fortunati della vita.
Tutto si fonde come immagini impressionate sulla stessa pellicola, appiattite e sovrapposte negli argenti di una sola memoria, di un ricordo troppo colmo per essere nitido e che mi prende alla gola quando capisco che fa parte del passato.

Non lo è.
Non è leale lasciare che ti costruisca una vita, lasciare che si sviluppi in te il sentimento rassicurante di sentirsi a casa, e poi abbandonare tutto come se fossi sparito dalla terra.
Accrescere la tua vita con il passare dei mesi di una esistenza parallela ed improvvisamente mutilarla, abbandonarla con un colpo di spugna, con un ultimo sguardo dal ponte della nave di notte mentre navighi sospeso nel nulla.
Ti chiedi perchè, perchè sei stato lì se hai dovuto abbandonare tutto, perchè hai cominciato qualcosa per lasciare inerte che finisca , perchè non ci stai più...E d'improvviso, mentre scrivo, mi accorgo che la risposta a quelle stesse domande della vigilia della partenza, sono le domande che mi pongo adesso.
Allora mi domandavo "perchè ci vado?", e la risposta sta in un'altra domanda a cui non dò ora soluzione: "perchè me ne sono andato via?".
Tutto rimane come uno stupido indovinello senza soluzione: non si sa perchè ci sono stato nè perchè non ci sto più, in un limbo del significato, per 8 mesi.
Per favore lasciate perdere il lavoro, dimenticatelo.
Quello mi ha solo messo nei casini ed è il responsabile dei miei spostamenti, ma non gli dò addosso: quelle due lire che ho guadagnato mi hanno fatto comodo, certamente, da quelle parti.

E allora voglio solo abbandonare le morali e vi dico subito che quella gabbia di matti mi manca, e porco Mondo!, non cercate di farmi cambiare idea: sarà forse parte della mia vita ed un giorno da vecchio lo considererò un capitolo di una esistenza e nulla più, ma ora che scrivo io mi sento come uno straniero in seno a Milano che se potesse inforcherebbe la sua moto per fare duecento kilometri per dormire da solo in una baia ventosa sotto le rovine degli scavi di Xerokampos.
- <<Eh già!>>
....come se non l'avessi già fatto.

No, lasciare Creta per Milano, è come lasciare una giovane bella e spiantata di vent'anni per sposarsi una vecchia con i soldi, e questo, Dio mi è testimone, non è proprio da me.
E allora io che conosco il mio passato e il mio presente, ma non conosco il mio futuro, adesso non vi so dire se ci sarà ancora posto per Creta nella mia vita, ma se è la volontà a costruire il fato, lo vedo già scritto che io ritornerò laggiù dove ho lasciato il mio cuore a pulsare sul fondo delle gole, a bagno nelle acque del Mar Libico, coperto dalle sabbie fini dell'Isola, appeso ai rami di un albero nel sole caldo di mezzogiorno.
Se Dio vorrà, senza che gli ponga ancora domande di sorta, rimetterò piede in quella terra, un giorno, a salutare ancora una volta quello che considero un mio vecchio amore, e soprattutto, una storia di passione che ancora non è finita.

Qui si chiude il mio Diario, la cronaca di un viaggio e di un brandello della mia vita, o forse soltanto la storia di un incontro fortunato fra un uomo ed un lembo di terra strappato al profondo del mare, e consegnato alla memoria attraverso queste pagine che dedico a me stesso.
E a chi ha avuto il cuore di viverle con me.

Alzo il bicchiere.
Gia mas.
Sto kalò, stin Kriti.
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